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La paura come fionda
La Provia era la mia preferita, quella che mi dava le visioni più intense.
di Andrea Basci
Una profondità di colori che annegava gli occhi.
Fuji ha forse dato il suo meglio con quella pellicola, 100 ISO, ogni partita era analizzata per la correttezza della sensibilità e aprivi la scatola come fosse un gioiello prezioso capace di illuminare i pensieri.
I due triangoli e l’unghiatura al centro sono ancora nella memoria dell’indice che scorreva sul lato alto per trovare il giusto verso dell’emulsione.
Al buio, in camera oscura.
Solo il tatto a disposizione per capire come caricare il telaio.
Poi, appena fuori, la Sinar è lì che aspetta di lavorare con l’immagine capovolta costruita sul vetro.
Il banco ottico è la massima espressione della fotografia e la rossocrociata Sinar è, da sempre, lo stato dell’arte di qualsiasi esperienza fotografica; il solo sfiorare le regolazioni micrometriche delle due standarte è un’emozione che entra dritta nella memoria e non si dimentica più.
La scenografia è pronta, lo strumento regolato sui fuochi corretti, basculaggi e decentramenti controllati per variare il piano focale.
L’esposimetro dà i suoi responsi, come interrogare un indovino che sforna numeri accoppiati.
Tempi e diaframmi.
Il telaio entra dietro il vetro smerigliato, carico l’otturatore, appoggio il dito sul cavo di scatto.
È lì che ho paura, timore; chiudo gli occhi e premo.
Non c’è un’altra possibilità. Se lo scatto non è perfetto non potrà più esserlo.
Non puoi permetterti di sbagliare.
Fotografia pensata, curata, attenta a tutti i particolari, attenta all’uso delle luci perché la pellicola, dopo aver attraversato il percorso dello sviluppo nei bagni del processo E6, te la trovi davanti, a traguardarla in controluce, e se le ombre sono chiuse non le apri più, i bianchi bucati sono fori trasparenti e la temperatura colore scorretta vira tutto lo spettro del colorimetro.
Impossibile correggere.
Un giorno d’attesa per conoscere il risultato e quando appoggi la diapositiva su un piano illuminato ascolti una sentenza.
C’è!
Quella sensazione di paura è rimasta ancora, fino a quando tutti i percorsi elettronici non mi fanno vedere sullo schermo quello che ho fotografato non sono tranquillo.
Queste sono immagini eteree ma modellabili come plastilina, scale tonali inimmaginabili da qualsiasi emulsione; solo il pensiero è il freno che può rallentare. Entrare in camera oscura e poi portare le visioni in falegnameria, rifinirle, lucidarle e ancora usare una saldatrice per aggiustarle riempiendosi gli occhi di scintille.
Qualche scatola di Provia è lì nei cassetti della camera oscura ma nessuna nostalgia, forse la sensazione di avere perso la paura che ti obbliga ad essere meticoloso da sfiorare la mania.
Quella meticolosità è però rimasta, retaggio della Provia, ed è quello che mi fa pensare che ogni scatto sia irripetibile. Anche se la stessa scenografia è fotografata cento volte con diverse luci, tempi, diaframmi e piccoli spostamenti, lo scatto perfetto è uno, gli altri sono inutili.
Fossero qui le paure.
Quelle vere se ne stanno invece ben nascoste, infide, pronte a comparire da dietro un angolo per farti sobbalzare o pesanti come cappe da farti muovere a fatica.
In mezzo alla notte, quando il risveglio è accompagnato da un corto respiro ed esco a fatica da una storia che mi ha tolto il fiato.
Un turbine di paura che mi spaventa ma viene diluito immediatamente.
Così intenso che mi toglie la voglia di riprendere il sonno ma volatile come il profumo della canfora.
Poi le cappe.
Quelle ti inseguono per giorni, non danno tregua, ti stringono da dentro e pare non mollino mai.
Pensieri che si attorcigliano su se stessi e più si aggrovigliano e più la paura scende nel cuore.
Come per gli incubi, brevi, intensi, spaventosi ma che si perdono nella memoria.
Neve al sole.
Così le cappe della paura si sciolgono, non come neve primaverile, assomigliano più a blocchi di ghiaccio.
Se ne vanno con lentezza esasperante che lascia strascichi amari.
La paura dello scatto è invece costruttiva, una forza magica che prende fuoco in un istante e brucia adagio e le braci rimangono calde nella memoria.
È paura che uso come una fionda.