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Cadrà altra neve sui camposanti
L’inverno come assimilazione di sé stessi
Ahimè, dove trovare, quando
È inverno, i fiori, e dove
Il raggio del sole,
E l’ombra della terra?
I muri stanno
Afoni e freddi, nel vento
Stridono le bandiere.
F. Hölderlin
Con Michele mi riservo uno spazio senza parole, di soli pensieri. Operazione autunnale che prelude senza inganni a un inverno di raccoglimento, nel gelo della grotta con asini e bovini a profusione che regalano quel tepore in minima moralia di schiette ed essenziali argomentazioni. Ma anche il raglio è un pensiero muto. Al di là del fatto che quei due animali sappiamo essere apocrifi, Simone Weil osserva che «non posso pensare il Natale senza».
In inverno una luce nasce sempre, nonostante tutto.
Scappar via dalla grotta, e rientrarci come infanti per, finalmente, decidere di non esserlo. Essendolo: nel dono e nel perdono, in un per di moltiplicazione esponenziale, vera trasvalutazione di tutti i valori. Nonostante Socrate abbia parlato chiaro, si trova sempre un cranio d’asino come barriera: «Nella realtà vi sono due modelli: uno divino e beato, l’altro privo di Dio e miserabile. Ma essi non vedono che è così».
Essere nudi come nel Gorgia perché la verità è segreta. Nudità e morte, perché la nudità è morte: le sole parole possibili, il Natale e la Pasqua. Le sette porte nei misteri di Istar, descensus ad inferos, «bussate e vi sarà aperto». All’inferno è caldo o freddo? Estate o inverno? Questione umana o teologica? L’inferno è in un altrove? O non esiste affatto?
Cosa è in realtà il raglio? Rispondere, non porre più domande bensì solo dare risposte. La scuola va riformata e Aristotele è ancora nel futuro.
Avercela messa tutta ed essere riusciti negli intenti; solo quando non viene riconosciuto questo ha valore. La matematica non può essere capita dal cammello, neppure se riuscisse a passare attraverso la cruna di un ago. Ecco il Valore! Trasvalutazione nell’assimilazione di sé stessi (la moderna seity). Non che vi sia un torto nei giudicanti, una volontà cosciente. No, è tutta una risposta di reazione, un’illusione consistente in una realtà feroce, vera e concreta come il colore e il sapore di una mela. Proprio per questo illusoria, e nella mela tutto il senso di un distacco che suggerisce l’opposto, e che non toglie solo il medico di torno (e di turno)! Mi spiego? Mi toglie di torno, finalmente, e con questo tutti i corollari! Ma proprio tutti.
Come scrisse Battiato: «gesuiti euclidei / vestiti come dei bonzi / per entrare a corte degli imperatori / della dinastia dei Ming», oppure vestiti da letterati confuciani, non è questo il punto. Oppure ancora l’inversione nullificante sartriana.
La neve incantando, nell’attenzione scioglie l’incantesimo, offrendo pensieri: «Ma tu che stai, perché rimani? Un altro inverno tornerà domani. Cadrà altra neve a consolare i campi. Cadrà altra neve sui camposanti»1.
La comprensione ha bisogno di un’apertura e di una perspicacia e svegliatezza di cui si sogna il possesso, ma lo scarto è incolmabile, almeno per ora.
1. Fabrizio De Andrè, Inverno