Il silenzio

di Don DeLillo

di Deborah Mangiafico

silenzio mangiafico 1920

Fotografia di Deborah Mangiafico

Il vuoto. Questa è la mia sensazione quando ultimamente mi capita di entrare nelle sale di spazi espositivi o di istituzioni più o meno culturali.

Osservo quelle poche persone che come me vagano all’interno del nulla, come beoti, appagati dal niente del quale amano fare parte, ignari di essere essi stessi parte dell’inganno. Vuoti. Come il vuoto che li avvolge mentre gironzolano da una sala all’altra, da una galleria all’altra, da una esposizione all’altra. I più audaci si improvvisano essi stessi artisti. 'Creano'. Cioè esternano il proprio essere. Narcisi e desiderosi del consenso altrui, parametro di autostima.

E allora penso a una qualche deriva verso la quale stiamo irrimediabilmente naufragando. Mi domando se è questo il processo di cambiamento e trasformazione che ci compete e se il termine 'evoluzione' non racchiuda in sé anche tutto ciò che serve a svuotarci completamente e a lasciarci come gusci vuoti, esoscheletri e ingranaggi di nuovi processi.

«Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta guerra mondiale si combatterà con pietre e bastoni». Con questa bistrattata e abusata frase di Albert Einstein, probabilmente attribuitagli pure erroneamente, si apre in esergo il libro «Il Silenzio», di Don DeLillo. E mi domando perché una scelta così banale, per un autore che banale di certo non è. E poi leggo il libro e capisco. Nessuna parola, nel libro, è messa a caso come, soprattutto, nessun punto di domanda.

Jim Kripps è in volo con la moglie per fare ritorno a New York dopo un viaggio in Europa. È intento ad osservare lo schermo che lo rassicura sulla sua posizione geografica nel mondo, con coordinate precise, altitudine e temperatura, quando all’improvviso tutto si spegne. Niente più riferimenti spaziotemporali. Niente più Superbowl a casa degli amici che lo attendono in un appartamento nell’East Side la sera stessa.

In questo breve romanzo pubblicato nel 2021, De Lillo mette in scena una delle nostre paure più profonde: il blackout tecnologico. Ambientato all’indomani della pandemia e a presagio di tempi bui e incerti, quali stiamo purtroppo vivendo, «Il Silenzio» mette a nudo la vulnerabilità delle nostre vite, la dipendenza consapevole e inconsapevole dalla tecnologia.

Le reazioni dei protagonisti di fronte al buio improvviso, che come una sorta di moderna sinestesia si tramuta in silenzio, sono quasi surreali. Prevale su tutte il senso di disorientamento, fondamento di tutte le teorie complottistiche e dei monologhi filosofici del caso. E se si cerca tra le righe una qualche interpretazione dell’autore sull’accaduto, ci si accorge che non ve n’è traccia, perché intento di De Lillo, invece che fornire risposte, è suscitare domande.

de lillo silenzio

Don DeLillo, il silenzio, Einaudi, 2021

«A quanto pare tutti gli schermi, ovunque, si sono svuotati. Cosa ci resta da vedere, da sentire, da provare?»
Cosa ci resta, appunto?
Se si spengono gli schermi è tutto nero. Nero come la copertina dell’edizione Einaudi di questo breve romanzo, con quell’emblematico cellulare di profilo sospeso nel vuoto.

Brancoliamo obnubilati da profluvi di dati e informazioni che, in un lento e inesorabile processo evolutivo, anziché illuminarci il mondo, lo hanno oscurato. Informazioni che deformano, che non hanno più alcuna aderenza al reale. «Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud” (Byung-Chul_Han). Comunichiamo in maniera maniacale e ossessiva perché siamo soli e sempre più consapevoli del vuoto che ci avvolge. E allora all'improvviso, non annunciato, misterioso: il silenzio. La tecnologia digitale ammutolisce. Internet tace. Tutti gli schermi diventano neri. Lo spaesamento impera. Costretti a vagare nello spazio affidandoci alle sole risorse che la nostra esperienza ci offre. Senza navigatore, senza GPS, obbligati a fare affidamento a quel retaggio ancestrale che una volta chiamavamo 'orientamento'.

Le conversazioni diventano prive di contenuto. «Quando un elemento mancante viene a galla senza l’ausilio di alcun supporto digitale, ognuno lo annuncia all’altro con lo sguardo perso in lontananza, l’aldilà di ciò che si sapeva un tempo e che è andato smarrito».
Per assurdo sembra che le frasi che non possano avere conferma di veridicità digitale, possano essere in qualche modo fasulle, e comunque confutabili. Così i personaggi, racchiusi nel microcosmo del soggiorno di casa, sembrano interagire tra di loro, ma in realtà parlano ad essi stessi. Non sanno più comunicare, senza l’intermediazione di un supporto tecnologico. «Cosa succede alle persone che vivono dentro un telefono?», si domanda uno di loro. E soprattutto, continuano a vivere, a telefono spento?, viene da aggiungere.

Brevi monologhi, affidati a ciascun personaggio, alla fine di questo breve romanzo che potrebbe sembrare una piece teatrale. E un’ultima immagine, a chiusura di tutto, che per me rappresenta una stupenda fotografia riassuntiva:
«Max non ascolta. Non ha capito niente. Sta seduto davanti al televisore con le mani intrecciate sulla nuca, i gomiti all’infuori. E poi fissa lo schermo nero».

Dopo troppo, veramente troppo, disturbante, prevaricante invadente rumore, io auspico uno sviluppo graduale verso un discreto e rispettoso Silenzio.

Back to top
Condividi