La notte
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Notti di note
A spasso di notte cantando
Teresa De Sio (foto: www.teresadesio.eu)
Era una calda notte d’estate. Una bella e giovane donna non riusciva a prendere sonno, tormentata dall’alta temperatura e dai pensieri notturni.
Accadeva a Napoli, o forse in un'altra città del sud italiano. Questa ragazza decise di vestirsi ed uscire, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che calmasse la sua agitazione interiore, probabilmente sicura di non fare cattivi incontri; era una magica notte, non sarebbe stato possibile trovare brutte persone. Fu così per strada, a camminare. Improvvisamente, da una finestra aperta la giovane donna sentì un piano e una voce, entrambi un po’ stonati, ma cantavano una vecchia canzone, note di 'tanto tempo fa'. Venne rapita da questo suono e ne fu felice, prima o poi la notte doveva finire, sarebbe finalmente arrivato il fresco del mattino e le cose avrebbero assunto una dimensione più normale. Questa è la vicenda narrata nella canzone «Pianoforte e voce» di Teresa De Sio del 1982, un piccolo cameo di meravigliosa dolcezza e suggestione infinita, cantata dalla stupenda voce di quella bravissima interprete.
Quante volte, nelle calde e insonni notti d’estate nelle nostre città avremmo voluto vestirci e uscire a camminare, per respirare meglio la vita che spesso di notte ci appare più difficile, più complicata, con i problemi che si ingigantiscono per poi ricondursi a dimensioni più normali quando arriva il mattino. «Ma quando arriva la notte, e resto sola con me, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi perché…» canterà qualche anno più tardi un’altra voce che ti penetra nell’anima, Arisa.
Siamo nel 2012 e Arisa si presentò e arrivò seconda a Sanremo con questo brano, enormemente delicato e al tempo stesso profondamente interiore. Ma quando arriva la notte, se il cielo è sereno e non ci sono le luci artificiali dell’uomo, brilla il firmamento. Quando si parla di cielo, qual è l’immagine di esso che ci balena subito nella mente? Un cielo terso, sereno e azzurro, o un cielo tempestoso, foriero di nubi minacciose? Chi sogna, chi alza la testa all’insù, spesso vuole invece vedere un cielo notturno, stellato e brillante di lontani, affascinanti e misteriosi astri, col desiderio magari di partire e volare lassù, a vedere le stelle un po’ più da vicino.
Una canzone, quella che per me è una stupenda 'chicca', racconta molto bene questo desiderio di staccarsi da questo mondo per curiosare là, nell’alto dei cieli, magari poi per tornare sulla terra, che è meglio. Il brano è «Sconosciuti cieli» cantato da Patty Pravo nel 1976 nel suo album omonimo «Patty Pravo». La canzone è una cover di «So long ago, so clear» con musica di Vangelis e la voce da contralto di Jon Anderson, storico cantante degli Yes e, nella sua carriera, solista con varie e importanti collaborazioni. Vale la pena di sentire anche l’originale, come vale la pena riportare tutto il testo in italiano, scritto da Luigi Albertelli: «Via, nella scia, di comete pallide, negli occhi mille lune. Via, sempre via, tra ragazzi languidi, di gocciolanti stelle, e poi… e poi… col corpo mio leggero vado via, un punto io, in quell’immenso blu. Via, nella scia, come antichi angeli, per sconosciuti cieli. Crea, la mia idea, rilucenti immagini, già oltre la barriera, e poi… e poi…col corpo mio leggero vado via, un punto io, in quell’immenso blu. Via, la mia idea, rilucenti immagini, per sconosciuti cieli».
Cambiamo scenario e passiamo ai gruppi 'prog' italiani, iniziando con «Chi ha paura della notte?» della PFM, uscita nel 1981 con l’album «Come ti va in riva alla città». Un inno al vivere la notte quando forse le ore piccole e piccolissime stavano iniziando ad essere una consuetudine dei nostri giovani senza le esagerazioni dei nostri tempi.
«Batte la musica della notte, il suo richiamo sento già, foresta di città, esco curioso come un bambino, che la notte non ha visto mai da vicino... chi ha paura della notte, chi ha paura, io non ho paura della notte nera...», recitava il testo con un ritmo raffinatamente tribale e i primi atteggiamenti giovanili di massa nei confronti della notte, forse ancora un po’ 'naif', contrariamente alla consuetudine odierna dei nostri giovani di sfogare di notte le frustrazioni che purtroppo oggi offre loro la vita quotidiana. Era ancora lontana la celebrazione di »Certe notti» di Ligabue.
Nel 1976 uscì il film «Il garofano rosso» tratto dal romanzo di Elio Vittorini, con la regia di Luigi Faccini. La colonna sonora venne affidata al Banco del Mutuo Soccorso che si cimentò in un loro primo album interamente strumentale e creò, a mio parere, una delle più belle musiche da film mai sentite, al netto dei capolavori del grandissimo Ennio Morricone. Ovviamente quei pezzi sono tutti permeati dalla freschezza compositiva della musica di quei tempi, in cui impazzavano, nell’ambito di quella che solo oggi viene chiamata musica 'progressive', eccellenti gruppi composti da fior di musicisti allenati a comporre e a suonare meravigliosi brani tuttora indelebili nella storia del rock. Questo gruppo laziale nella stesura di quelle note si superò. La maestria di quei musicisti e compositori si avvicendò in quei brani tra la dolcezza di «Esterno notte casa di Giovanna», un brano delicatissimo e suggestivo che da veramente l’idea di una calma e riflessiva osservazione notturna e la quasi brutalità espressa nel brano «10 giugno 1924», in cui vengono descritti i funerali di Giacomo Matteotti.
Altra riflessione notturna di questo disco è «Notturno breve», un breve pezzo in cui la notte viene descritta con un andamento quasi 'esplorativo', perché quando ci si addentra nella notte si va sempre alla scoperta di qualcosa, che sia interno a noi stessi o fuori, nel mondo. La notte e il suo contrasto con il giorno, il tema in genere dei contrasti, è uno degli argomenti sviluppati dal gruppo rock-progressive delle Orme. Dal suo album «Contrappunti» del 1974 un brano, «Notturno» che rientra alla perfezione nell’ambito specifico del rock-sinfonico, tanto bello e ricco di spessore musicale e tanto in auge in quegli anni. Dopo «Felona e Sorona», un concept-album che narra della differenza tra due pianeti uno l’opposto dell’altro, sintetizzati nella frase «… sono divisi anche i loro destini, uno non sa la notte l’altro il giorno…» del brano «L’equilibrio»; brano per cui è necessario usare il forse troppo abusato termine 'capolavoro', sia nella musica che nel testo, da ascoltare per chi non lo conoscesse. Dopo questo album - che necessiterebbe un articolo dedicato per quanto è bello e di estrema qualità - le Orme pubblicano «Contrappunti» che nella sua esposizione dei brani ne alternano uno calmo e riflessivo (tracce pari) e uno più energico e scatenato (tracce dispari). «Notturno», ovviamente, appartiene alla categoria dei primi. Negli anni ’80 poi questo gruppo, come tanti altri del genere 'progressive' si dedica a brani più 'di facile ascolto' pur se comunque di qualità e di fattezza creata da grandi musicisti; nasce «La notte» dall’album del 1982 «Venerdì», canzone ariosa e leggera caratterizzata dall’uso del 'Glockenspiel' (metallofono), una sorta di 'campane tubolari' trasformate in uno strumento a percussione tipo xilofono, che si suona con delle bacchette, per intenderci.
Tante nella musica italiana sono le canzoni che descrivono o in qualche modo celebrano la notte, oltre a quelle già descritte. Volevo semplicemente elencarne alcune, sicuro purtroppo di tralasciarne altre. Nel 1955 il grande Domenico Modugno scrive e incide una canzone che spero di non esagerare affermando che ha i connotati di una vera, emozionante e struggente poesia: «Vecchio frac», uno dei più grandi capolavori della canzone italiana; ispirata dal suicidio del principe Raimondo Lanza di Trabia, avrà successo intramontabile nel mondo solo nel 1959, a seguito del successo di «Volare» del 1958.
Tre canzoni significative su questo argomento negli anni ‘60 sono: «Le strade di notte» di Giorgio Gaber del 1962, un raffinato brano nella sua semplicità, in cui il protagonista si aggira di notte per le strade 'che sembrano più larghe' ma pensa a lei, sperando che lo aspetti ancora sveglia. Nel 1965 l’esplosione di sensi per gli italiani prodotta dalle gemelle Kessler con le loro gambe interminabili e la celeberrima «La notte è piccola per noi», quasi un’ingenua, candida anticipazione di quello che saranno le discoteche e la “movida” notturna dei giorni nostri. Per finire “La notte” di Salvatore Adamo, sempre nel 1965, che con la sua voce inconfondibile, come un innamorato pazzo urlò «Se il giorno posso non pensarti, la notte maledico te…». Una canzone appassionata, in cui le parole di Adamo sono magistralmente contrappuntate da una fisarmonica solista.
Ricordo ora brevemente alcune pietre miliari della canzone italiana come «Notte che se ne va» di Pino Daniele, «Notte prima degli esami» di Antonello Venditti, «Buonanotte Fiorellino» di Francesco De Gregori, «Una notte in Italia» di Ivano Fossati, «Notte di note, note di notte» di Claudio Baglioni, «Notte rosa» di Umberto Tozzi, «Canzone di notte» 1 e 2 di Francesco Guccini, «Notte» di Lucio Dalla (di Lucio ci sarebbe anche la magica «La sera dei miracoli» ma tratta di 'sera' e non di 'notte') e le forse meno conosciute «Di notte» di Riccardo Cocciante e «Buonanotte a te» di Fabio Concato. E chissà quante altre…
Per chiudere, due brani 'extra': una sigla di una trasmissione radiofonica e una canzone non italiana. La prima è la sigla di un canale radiofonico, RaiStereoNotte, che andò in onda a canali unificati dal 1982 al 1994. In seguito ci furono sospensioni e riedizioni di questo programma, ma mai nella forma e nel fascino dell’edizione originaria. Dalle 0:30 alle 5:30 andava in onda questa storica trasmissione, trasmettendo musica di qualità, alternando bravissimi conduttori nel corso della notte e, se per qualche motivo poteva capitare di stare svegli, si era accompagnati verso il sonno o verso l’alba da questo suggestivo programma. La sigla di apertura, interamente strumentale, un vero viaggio nella notte. Il titolo era «Viaggiando» di Roberto Colombo e chiudendo gli occhi e ascoltando quelle note, ancora oggi, ci si può facilmente immaginare di spostarsi velocemente nella notte, per capire che la vita continua là, fuori dal letto e dalla propria stanza, nel mondo sconfinato, dove da qualche parte è giorno, e dove invece in qualche anfratto buio di qualche città si può anche avere paura, molta paura.
La paura e l’ansia nella notte sono anche il tema del secondo brano di chiusura di questo articolo, quello straniero. Nel 1983 uscì «Overkill» dei Man at work, un classico di quel periodo in perfetto stile anni ’80, che inizia con le note di un sax, strumento che sonoramente viene spesso ripreso nella canzone e si dipana con un ottimo assolo di chitarra nell’evoluzione del brano. Per capirci, riporto integralmente una traduzione del testo: «Non riesco a prendere sonno, penso alle implicazioni, di andare troppo a fondo, e ipotizzo complicazioni, specialmente di notte. Mi preoccupo della situazione, so che andrà tutto bene, forse è solo la mia immaginazione. Giorno dopo giorno, ricompare notte dopo notte, il battito del mio cuore tradisce la mia paura, fantasmi compaiono e svaniscono. Starsene tra le lenzuola, porta solo all’esasperazione. È ora di camminare per la strada e fiutare la disperazione, almeno ci sono delle belle luci, e sebbene cambi poco, impedisce alla notte di esagerare… fantasmi compaiono e svaniscono. Tornate un altro giorno!».
Perché «…la notte vince sempre sul giorno, e la notte sangue non ne produce…», come cantava il grande, compianto Claudio Lolli nella sua «Ho visto anche degli zingari felici».