La meraviglia

La montagna incantata

L'immaginario alpino e gli spiriti delle montagne

di Michela Zucca

Tradition Loetschental
Lötschental, Svizzera (www.erlebnis-schweiz.com)

Nel corso della loro lunga storia, le montagne sono state sempre popolate di esseri fantastici.

Dobbiamo immaginarci villaggi sparsi, infinitesimi universi isola dispersi nella foresta primigenia che ha ricoperto l'Europa per migliaia di anni.

Insediamenti che d'inverno rimanevano completamente isolati dalla neve, in balia degli elementi, nel ventre di una natura estrema, causa di vita e di morte. In un ambiente come questo, gli uomini cacciatori, raccoglitori e soltanto molto più tardi, comunque solo parzialmente, agricoltori, dovevano vivere in simbiosi totale con un territorio ostile, che stava "fuori dalla porta di casa": dovevano imparare a decifrare anche il minimo segno di cambiamento di colore, di aria, di vento, per non perdere la strada, per capire quando e come uscire per andare a caccia, per mettersi al riparo dalle valanghe e dalle frane.

Niente di strano che i nostri antenati abbiano riferito la causa di tanti eventi inesplicabili e meravigliosi all'azione degli Spiriti. Spiriti con cui ci si poteva mettere in contatto, spiegando loro le proprie ragioni, le fatiche di una vita tanto ingrata, tanto in alto; Spiriti che, all'occorrenza, potevano anche dare una mano per risolvere problemi insolubili, o dire una parola buona. Spiriti che, purtroppo, come i loro compagni umani, si offendevano facilmente e quindi andavano trattati bene: bisognava rendergli omaggio e sperare di aver detto le parole giuste al momento giusto, per non contrariarli.

In questo modo, la natura e l'ambiente, popolata da esseri personalizzati, venivano amati e rispettati, non soltanto in funzione di un utile futuro e strumentale alla razza umana, ma in quanto tali, in quanto parte di un modo di essere panteistico che non rifiutava sensazioni, sentimenti e sensibilità neanche alle pietre.
Queste misteriose entità hanno fecondato l'immaginario collettivo dei popoli alpini, che ha sviluppato una fantasia poi espressa attraverso l'arte e la composizione di canzoni, racconti, saghe e leggende. Tutto un mondo che ha profondamente influenzato la società "colta" e il nostro inconscio, che è riuscito a sopravvivere nei recessi più profondi della memoria archetipa dei popoli europei. Un patrimonio immenso che merita di essere riconosciuto e rivalutato, e che corre il rischio di perdersi se viene banalizzato al rango di superstizione o di "espressione di culture minori e marginali", o, peggio ancora, di snaturarsi completamente come fenomeno folkloristico.

krampusKrampus, figura terrificante che accompagna San NicolaoLe montagne maledette

Quando i Romani attraversavano le Alpi, andavano al tempio e chiedevano protezione agli dei. Poi, tornavano a casa e dicevano addio a moglie e figli. Quelle maledette montagne erano popolate da demoni, che apparivano dal nulla sulla neve, nudi come mamma (mamma?!?) li aveva fatti, dipinti di blu, capelli lunghi e scarruffati sulle spalle, lanciando urla raccapriccianti. Invece di generali li guidavano in battaglia strani vecchi con gli occhi spiritati, che intonavano nenie spaventose: i loro stregoni, maghi potenti e temibili. Anche le donne scendevano in campo e, letteralmente, li facevano a pezzi.

Quella gente che viveva all'ombra dei ghiacciai, i civili abitanti dell'Urbe non l'hanno mai capita. Era meglio
trattare con gli Africani. L'incompatibilità fra popoli celti e mediterranei non ha aspettato Bossi per manifestarsi. Anche perché per cittadini e metropolitani di ogni secolo i contadini, e specialmente i contadini montanari, sono sempre stati qualcosa di poco comprensibile, una via di mezzo fra le bestie e gli uomini, ancorati a credenze antiche e arcane, troppo legati ad un ambiente e a forze della natura che ai rappresentanti della cultura classica facevano paura.

Agli Alpini invece quelle cime innevate, quei torrenti tumultuosi, quei pascoli così in alto da sfiorare il cielo, quelle nebbie che avvolgevano persone e cose in morbidi veli candidi non incutevano timore: semplicemente, li credevano abitati dagli Spiriti. Spiriti buoni e cattivi, o meglio, entità da propiziarsi, ognuna col suo carattere, che andava rispettato, proprio come ogni altro membro della tribù: fate e gnomi, elfi e streghe, druidi e sibille, anime di celebri capi defunti, essenze degli alberi, delle acque, del cielo, della terra, del ghiaccio, dei fiori, degli animali. Un mondo in cui si poteva passare dall'universo conosciuto, materiale, agli spazi immateriali e ignoti, in cui tutto poteva essere possibile. Un universo in cui era la foresta (e la Madre Terra) ad essere fonte non solo di sopravvivenza, ma anche di conoscenza.

Dio era insito in qualsiasi cosa: smembrato in migliaia di Elementi, l'uomo partecipava alla comunione con la natura. E quindi con la divinità. Ci si metteva in contatto con Lei tramite riti che non avevano niente a che vedere con le aride cerimonie che sacrificavano a Giove Pluvio, fatte per mantenere un culto di stato, o con quelle che ricordavano Gesù Cristo, che mortificavano la carne. Le feste celtiche erano feste della Terra e degli uomini: si accendevano falò nella notte, per avere luce e calore; si suonava, si ballava, si mangiava e si beveva, perché gli Spiriti non sopportano pianti e lamenti inutili, dato che amavano il genere umano; e ci si accoppiava, in assoluta libertà, per far dono all'universo dell'atto di amore più completo.

La società alpina era composta da collettività di uguali. Non era sessista: uomini e donne godevano degli stessi diritti. Anzi, in molti casi era retta da matriarcati che si tramandavano per generazioni. Era un insieme di tribù indipendenti, ognuna con la sua propria peculiarità. Era in armonia con l'ambiente, che veniva sfruttato ma non fino al punto di distruggerlo. Non esistevano proprietà private; i grossi lavori si facevano insieme, e i legami di solidarietà, aiuto e rispetto reciproco erano molto profondi. E forse fu questo fortissimo senso di indipendenza che impedì alle popolazioni alpine di riunirsi in un solo esercito e di cacciare gli invasori. O forse fu la paura che impediva ai Romani di addentrarsi nelle valli, che spinse i Druidi a pensare che, in fin dei conti, potevano continuare a vivere la loro vita tranquillamente, tanto di spazio ce n'era un po' per tutti, su quelle montagne così alte. E loro, dei fondovalle, non sapevano che farsene, tanto erano paludosi e infestati da mosche e zanzare.

Così, per secoli e secoli ancora, continuarono a celebrarsi i quattro sabba maggiori e i quattro sabba minori nel tripudio e nella festa generali. C'erano altri preti, che andavano in giro a cianciare di castità e di inferni dopo la morte, che li chiamavano Pasqua, Natale, Festa dei Defunti e Assunzione: loro parlavano e predicavano, la gente continuava a fare ciò che aveva sempre fatto. E poi, non erano mica così cattivi: avevano diritto di vivere anche loro. E Roma non si sapeva neanche dove fosse. Forse non esisteva neppure.

Fino a quando... fino a quando non ne arrivarono di nuovi, di quelli che la gente, su nelle valli, non aveva mai visto. Che cominciarono a dire che tutto quello che si era fatto per millenni, tutto quello che gli anziani e gli Spiriti avevano tramandato, tutto quello che era vita corrente nella cura delle anime e della malattia, era contro Dio. Ma quale Dio?!
Ma non solo: questi, a differenza degli altri, si addentravano nelle vallate più isolate, arrestavano uomini e donne, li torturavano e gli facevano confessare le cose peggiori: di avere avuto commercio carnale col demonio, di aver volato a cavallo di una scopa... Ma quale demonio?!
E poi li arrostivano.

Non c'è da stupirsi se, dopo il genocidio per abbruciamento di milioni fra uomini e donne (soprattutto donne, perché a loro era affidata la comunicazione con gli Spiriti, e loro erano quelle che più resistevano alla nuova religione che martoriava il corpo: il cristianesimo), una cultura come quella alpina sia stata ridotta al rango di folklore. Quando va bene. E che un mondo di tradizioni, di lingue, di tecniche di costruzione, di conoscenze botaniche, di musica, di canzoni, di professioni, di storia, si sia salvato dalla distruzione completa è quasi un miracolo.
Fra le tradizioni che si sono salvate, forse le credenze più importanti e più ricche riguardano proprio un universo composto da spiriti, entità misteriose che mettevano in comunicazione gli esseri umani con la Natura Madre.

rogo-stregheA Cavalese si processano le streghe (www.montagna.tv)

Come salvare il nostro immaginario dallo sfacelo?

In qualche misterioso modo, un patrimonio immenso di cultura, un universo meraviglioso in cui affondano le radici del mito e dei valori universali che sono racchiusi in ciascuno di noi, è riuscito a salvarsi. Malgrado i tentativi di cancellarlo dalla memoria, malgrado il disprezzo di cui è stato fatto oggetto dalla Fede e dalla Civiltà Razionale, questi ricordi non sono andati perduti, e noi siamo ancora qui, a raccontarci le antiche storie.

È necessario riscoprire, rivalutare e far conoscere espressioni di cultura popolare che corrono il rischio di perdersi perché si sono tramandate oralmente, e oggi, col cambiamento della vita in montagna, si sono perduti come gli ambienti e le occasioni e le persone capaci di ricordare e di raccontare le vecchie storie.
Bisogna rimettere in luce fenomeni culturali che le Università, le Accademie e i critici storico-artistici hanno sottovalutato come espressioni "minori" di società marginali e che, invece, hanno prodotto, nel corso dei secoli se non dei millenni, espressioni ricchissime per creatività e originalità.
Si deve far emergere l'archetipo e la memoria inconscia che sono nascosti da strati e strati di narrazione (o di rappresentazione), e che rimandano alle origini più antiche della nostra cultura, della formazione della sensibilità e del modo di essere della gente delle Alpi.

È possibile identificare l'esistenza di un substrato culturale comune che attraversa l'Europa dall'Islanda attraverso la Spagna, la Francia, l'Europa centrale fino al bacino del Basso Danubio, e che si manifesta nelle saghe di "draghi e di nani che nascondono tesori sotterranei".
È essenziale far conoscere quelle espressioni di arte popolare, dalla scultura al teatro, che sono ancora genuine e che non vengono prodotte per il turista, ma sono eredità di comunità o di famiglie di artisti-artigiani, che si tramandano una conoscenza antichissima che si esprime solo in determinate occasioni (sempre meno).
Dobbiamo impegnarci a rivalutare quel rapporto con la natura sacralizzata che ha portato all'equilibrio e al rispetto per l'ambiente, durato per millenni all'interno delle civiltà alpine e distrutto dal materialismo e dalla secolarizzazione di questi ultimi decenni, che vede il mondo solo in funzione del profitto.

Chalandamarz Zuoz

Chalandamarz a Zuoz (Engadina)

Le feste degli Spiriti

Attraverso la visione di immagini di feste popolari, sicuramente ci si ricorderà di qualche cosa che appartiene al ricordo dell'infanzia di ognuno di noi, che si celebra ancora nei paesi, ma di cui si sono sempre ignorate le origini remote. È proprio in occasioni di questi particolari periodi dell'anno, in cui di solito cambiano le stagioni, che la comunicazione fra la razza degli Uomini e quella degli Spiriti si fanno più semplici, perché cadono le barriere fra i due mondi.

    1. Le feste del fuoco: la fiamma come simbolo solare, di purificazione e rigenerazione della natura, ingrediente necessario e insostituibile in qualsiasi rituale magico: i falò vengono accesi ancora oggi, sotto diverse motivazioni "di copertura", in tantissime comunità alpine.
    2. Il Natale: dalla vigilia alla Befana c'erano le due settimane "magiche" per eccellenza, occasione di caccia selvaggia per gli spiriti dell'aldilà e di rituali propiziatori all'interno delle famiglie e dei villaggi.
    3. Il Carnevale: il mondo alla rovescia che serve per la buona continuazione dell'ordine costituito, ma che riecheggia un passato in cui la festa e il divertimento non erano sottoposti a vincoli, e occupavano un ruolo sacrale all'interno della società.
    4. Chiamare marzo: i riti che presiedono all'arrivo della primavera, alla propiziazione degli spiriti del sottosuolo per ottenere un buon raccolto, fondamentale per la sopravvivenza della comunità.
    5. San Giovanni: nella notte del 24 di giugno, in tutte le Alpi, si raccolgono le erbe medicinali; in Carnia i mazzi di fiori vengono benedetti in chiesa, con una cerimonia che risale alla notte dei tempi, quando il celebrante vestiva di bianco e faceva (probabilmente!) il druido.
    6. Le feste dei morti: quando le anime dei defunti ritornano in questo mondo, e il confine fra al di qua e al di là si fa labile e incerto; le processioni di fantasmi e le "messe dei morti".

 

Gli Spiriti

Che faccia hanno gli Spiriti? Come si manifestano ai compagni umani? Dove si possono vedere? Oltre che nel cuore della gente, stanno ancora appollaiati sulle grondaie e sui tetti, dipinti sulle facciate delle case, scolpiti nelle architravi delle porte... e perfino nelle chiese e nelle cattedrali cristiane.

    1. Gli spiriti degli alberi: gli antichi Celti adoravano gli alberi; pensavano che avessero un'anima, e, in certi casi, diverse anime, che "scappavano" dalle radici e dai nodi dei tronchi: gli Alpini continuano a scolpirli e a metterli a protezione delle case e delle porte.
    2. I mostri: animali fatati e metamorfosi, esseri composti da bestie di razze diverse; entità che appartengono contemporaneamente ai quattro stati della materia: espressioni complesse di una mentalità che aveva compreso l'unità fondamentale del creato.
    3. I draghi: reminiscenza inconscia di rettili primordiali o sacralizzazione del serpente, simbolo femminile delle forze fertilizzatrici del sottosuolo, malgrado tentativi di dannazione è rimasto a portare fortuna alle case, appollaiato agli angoli delle grondaie.
    4. I giganti: contro le teorie darwiniane, la cultura alpina vuole che i nostri antenati mitici fossero molto più grandi di noi. A volte buoni, a volte malvagi, qualcuno diventa addirittura santo, per poi essere cacciato dai luoghi sacri: vedi san Cristoforo. Ma le loro ossa si possono trasformare in architravi di cappelle.
    5. Gli gnomi: guardiani di tesori e maestri nell'arte mineraria; amici degli uomini, infinitamente saggi, si arrabbiavano se venivano presi in giro, e si vendicavano ferocemente. Popolano i boschi, ma accettano volentieri un bicchier di vino in compagnia.
    6. I folletti: esseri variabili, possono essere bellissimi e lucenti, oppure brutti, sporchi e puzzolenti; amici e nemici; tozzi e solidi, o evanescenti e immateriali. Sono creature fantastiche che si divertono a fare dispetti agli uomini, e ad annidarsi nei luoghi più impensati.
    7. Gli uomini selvatici: eredi degli antichi popoli costretti a ritirarsi sempre più lontano dall'arrivo della "civiltà", sono eroi civilizzatori che conoscono tutti i segreti della natura, che sorvegliano le porte di case e di città, e che alla fine scompaiono vittime dell'intolleranza della nostra cultura.
    8. Le fate: meravigliosi spiriti di sesso femminile, retaggio di una civiltà matriarcale che ha regnato sulle Alpi per millenni, portavano la bellezza, il potere e la magia agli uomini, attraverso la musica, il canto e la danza.
    9. Le streghe: ancora oggi, malgrado la repressione feroce (bruciate a milioni), sono rappresentate come simboli portafortuna, emblema delle Alpi. Il loro potere doveva essere grande e non solo carismatico; con loro è stata distrutta tutta una civiltà fondata sul concetto delle Natura Madre. Ma nessuno è riuscito a cancellarne il ricordo.
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