La meraviglia

Nutrire lo spirito di meraviglia

Verso l'inedito come un novello Adamo

di Lorena Pini

bolle sapone

«Il provar meraviglia sorregge la filosofia e la domina dall'inizio alla fine.»

(Martin Heidegger, Che cos'è la filosofia)

Si dice che ogni bambino nutra desideri immensi, o forse meglio ancora sarebbe dire che ne è nutrito, che cresce proprio alimentandosi di questa tensione verso il nuovo che lo attraversa prepotentemente.
Si tratta di una considerazione che, nella sua apparente semplicità, contiene una grande forza evocativa e suggestioni che portano molto al di là dell'ovvio: ci ricorda infatti che il bambino è costitutivamente capace di stupore, carico di meraviglia e di curiositas, proteso ad avventurarsi in un mondo che per lui è l'assolutamente inedito e che proprio per questo lo attira.
Come un novello Adamo, il piccolo uomo vuole incontrare ogni cosa e a ciascuna vuole dare un nome. Nel suo crescere, il bambino compie un atto che, come sosteneva lo psicoanalista Donald Winnicott, di per sé è aggressivo, proprio nel senso originario del termine, che rinvia al verbo latino ad-gredior (letteralmente "andare verso", "avvicinarsi"). L'aggressività innata nel bambino è dunque innanzitutto energia, vitalità, motore di scoperte, che spinge verso l'esplorazione e promuove l'autonomia.

La facoltà di sorprendersi, di coltivare la meraviglia, di abitare un tempo denso di stupore, non appartiene però soltanto al momento aurorale dell'affacciarsi alla vita, irrimediabilmente destinato a farsi sempre più lontano e inattingibile per la nostra memoria autobiografica, ma è invece il contrassegno della giovinezza dello spirito, che ciascuno può sperimentare anche se ormai carico d'anni.
Essa è una condizione che può rinnovarsi ad ogni stagione della vita, un'occasione che originariamente è data e che va poi preservata, una ricchezza della quale va riconosciuto e custodito il valore.

Ecco allora che educare alla meraviglia significa riconoscere e difendere la peculiare dignità dell'uomo, creatura capace di intelligenza, di sapere, di affettività, proprio perché intimamente capace di stupore, di meraviglia.
Educare alla meraviglia, allo stupore significa porsi - come voleva uno dei maggiori filosofi e pedagogisti del Novecento, Jacques Maritain - nell'ottica di un'educazione integrale, che abbracci tutto l'umano e finalmente non lo tradisca nella sua dignità di essere pensante e aperto alla trascendenza.

La sfida che si presenta all'uomo del nostro tempo è quella di realizzare un vero umanesimo, un umanesimo integrale, appunto, che, portandosi fuori dalle secche del naturalismo, del funzionalismo e, in generale, di ogni limitata e limitante prospettiva riduzionista, promuova lo sviluppo umano in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue espressioni, permettendo così il pieno dispiegarsi delle potenzialità della persona.
L'educazione integrale, che per Maritain è paragonabile a un risveglio umano, si presenta dunque come vera e propria educazione liberale, nel senso originario del termine. Essa è un'educazione disinteressata, capace di liberare l'uomo, un'educazione il cui vero fine è la formazione della persona, della quale coltiva lo sviluppo spirituale.

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Perciò al cuore dell'educazione liberale sta la filosofia, che già per Aristotele è l'unica disciplina davvero libera, in quanto tende alla sapienza, che è degna di essere ricercata per se stessa.

Inoltre, guardare alla filosofia è necessario per comprendere chi sia l'uomo che si intende educare, è necessario per superare le ristrettezze dell'ottica bio-psico-fisica, foriera di errori capitali e di storture pedagogiche, se si vuole formare l'uomo integrale.
Occorre dunque riportare al centro del processo educativo la meraviglia e l'attitudine speculativa che da essa scaturisce. Solo lo stupore conosce veramente, perché in mancanza di esso tutto rischia di cadere nell'insignificanza. «Senza meraviglia l'uomo cadrebbe nella ripetitività e, poco alla volta, diventerebbe incapace di un'esistenza veramente personale», come afferma l'enciclica Fides et ratio di San Giovanni Paolo II.

«In principio era la meraviglia», come recita anche il titolo di un saggio di Enrico Berti, insigne studioso di Aristotele, dedicato alle grandi questioni della filosofia antica, e si può senz'altro affermare che alla meraviglia sia da sempre stato riconosciuto lo statuto di "passione cognitiva", sin dall'antichità, appunto, e almeno fino all'Illuminismo, che invece l'ha giudicata con sospetto, come qualcosa di popolare, di infantile e di dilettantesco, e così ha spianato la strada all'avvento e al predominio della ragione strumentale, che ancora ci limita e ci tarpa le ali.

Al nostro tempo spetta pertanto il compito di riabilitare pienamente questo pathos sublime, di riscattare il pensiero inaugurando un nuovo inizio col ripartire di nuovo davvero dall'inizio, dal principio, dall'evento fondatore della conoscenza: dallo stupore originario davanti alla datità del reale, di fronte al miracolo radicale dell'essere.

 

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