La donna
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Il problema DI genere
Dove le donne se ne vanno la montagna muore
di Michela Zucca - PRIMA PARTE
Donna con valigia di Giovanni Graziani
Le donne sono un elemento cruciale nelle comunità delle Alpi. Da loro, dipende la decisione di mantenere le famiglie sul territorio, di fare figli, e quindi la possibilità di continuare ad esistere di molti paesi alpini.
Da loro viene la spinta all’innovazione, il bisogno di qualità, la volontà di recupero delle tradizioni. Per questo sono un elemento di studio privilegiato: senza la loro partecipazione, lo sviluppo non decolla. Queste le ragioni che hanno determinato, presso il Centro di ecologia alpina, la formazione di un gruppo di studio sulla condizione della donna sulle Alpi, che ha realizzato sei convegni internazionali, diverse pubblicazioni, e l’elaborazione delle mappe di spopolamento di genere. Poi, come succede spesso in Italia, l’istituto ha chiuso, e la ricerca si è interrotta.
Il ruolo tradizionale della donna nella famiglia alpina e il 'gran rifiuto'
Le donne, nel corso dei secoli, sono riuscite a sopravvivere in ambienti limite, mantenendo uno stretto rapporto con la natura, sfruttando le risorse ma conservando e curando il territorio nello stesso tempo. Senza rinunciare alla magia ed alla poesia, che le hanno trasformate in custodi della memoria. Le Alpi, che per secoli sono state tenute ai margini delle vie di comunicazione e di sviluppo sociale e culturale, sono state testimoni dell’affermazione di una cultura e di una società al femminile: anche perché, spesso e volentieri, gli uomini mancavano, emigravano, o lavoravano lontano.
Dove le donne se ne vanno, la montagna muore: e sempre più spesso, nelle vallate alpine, si assiste ad un abbandono della componente femminile, che rifiuta di «sposare un contadino». Gli uomini prima cercano di ricorrere all’importazione di mogli dal Sud America o dall’Est Europeo. Poi, lentamente, si rassegnano a rimanere da soli oppure, uno dopo l’altro, si trasferiscono altrove mano a mano che invecchiano.
Dalle montagne, le donne sono state le prime ad andarsene. Hanno attuato una protesta femminista che, se non ha acquistato gli onori delle cronache dei giornali, non per questo è stata meno efficace. Questa la reazione ad una cultura che vedeva in loro poco più di strumenti utili per lavorare e per procreare, fino alla fine, che le relegava ai margini, le reprimeva sessualmente, impediva loro di realizzarsi in un qualunque modo.
L’esodo è cominciato negli anni Cinquanta, per poi assumere dimensioni preoccupanti nei decenni seguenti. Oggi è diventato un dato di fatto in molte valli. L’abbandono ha origini antiche, radicate in una cultura e in un immaginario che si sono formati in secoli di storia. Per tentare di risolvere, o per lo meno, di limitare i danni di una situazione che in alcuni casi ha già portato a conseguenze estreme, bisogna fare un passo indietro.
Raccolta del fieno in Val Venosta
Nella società contadina, la donna era «la prima ad alzarsi e l’ultima ad andare a letto». Come i loro compagni maschi, le bambine cominciavano a lavorare appena riuscivano a camminare sulle proprie gambe. In casa o fuori, c’era sempre qualcosa da fare. La gioventù era una stagione brevissima, sorvegliata dai genitori e dai preti, custodi del buon nome della famiglia. Anche se, rispetto alle coetanee borghesi, le contadine godevano di una certa libertà di movimento, che per forza di cose le portava alla promiscuità con gli uomini, era in vigore comunque una doppia morale che negava loro il diritto al piacere. Fin da piccole, erano ingabbiate nelle prescrizioni del catechismo. Preti sessuofobi istillavano loro il senso del peccato e quello del dovere. Qualunque cosa era peccato: ancora trenta, quarant’anni fa, si veniva redarguite pubblicamente se non si portavano le calze o se si andava a ballare la domenica pomeriggio, quando i giovani si trovavano insieme e qualcuno tirava fuori uno strumento musicale. La trasgressione esisteva, certamente, ma ogni azione che andava al di là della norma era vissuta con grandi sensi di colpa, e il controllo sociale esercitato dalla comunità era fortissimo. La coscienza del peccato era profondamente radicata nella gente, e per peccato si intendeva soprattutto la trasgressione sessuale, così come lo scandalo si riferiva esclusivamente al fare o al dire qualcosa relativo alla sfera del sesso. Perfino la foggia del vestito era caratterizzata, nelle donne, da una sobrietà estrema, nella forma e nel colore, che era sempre scuro, e che si evolveva con incredibile lentezza; le minime novità costituivano quasi delle provocazioni. Appena le ragazze tentavano di 'raccorciare' un po’ le gonne erano assalite dalla censura familiare, da quella del paese e da quella del parroco.
Dalla data del loro matrimonio in avanti, poi, la loro esistenza personale perdeva di importanza, fino a scomparire: ogni esigenza avrebbe dovuto essere consacrata al marito, ai suoceri, ai figli e al lavoro, fino alla morte. Per le donne non era mai festa: anzi a Pasqua o a Natale, alla domenica o in occasione di matrimoni o ricorrenze, era a loro che toccava preparare cibi particolari, lavare, stirare e rammendare gli abiti buoni, 'tirare a lucido' la casa. Lo facevano di notte, sottraendo ore a quel poco di sonno a cui avevano diritto. Se gli uomini avevano l’osteria, alle loro mogli era negato l’ingresso, a meno che non dovessero riportare a letto il marito ubriaco. D’inverno, almeno, i maschi potevano godere di un po’ di riposo, perché i lavori nei campi si fermavano: le donne no.
Praticamente, ogni aspirazione, dopo sposate, doveva essere soffocata, anzi: era peccato persino parlarne. Le donne dovevano occuparsi dei nuovi nati, e i parti si susseguivano senza interruzione; i soldi erano pochissimi, e, in ogni caso, non rimaneva niente da spendere per sé; il lavoro nei campi, in stalla e la cura della casa, del marito e dei vecchi non dava requie. Si invecchiava prestissimo, soddisfacendo i bisogni degli altri: del marito, dei figli, dei suoceri, delle bestie. Le occasioni di svago, quasi inesistenti. Il rapporto sentimentale (se c’era mai stato) si esauriva ben presto, distrutto dalla fatica e dalle difficoltà.
Comunque, malgrado l’inferiorità sociale che erano costrette a sopportare, l’economia di famiglia, di comunità e di villaggio ruotava intorno alla componente femminile, che era senza dubbio la più importante. Perché le donne non solo si occupavano dell’andamento 'ordinario' dell’azienda agricola di famiglia, basato su un’agricoltura di sussistenza che assicurava a malapena il nutrimento, in cui erano aiutate dai mariti (quando non erano emigrati), ma avevano sviluppato anche delle forme alternative di integrazione del reddito, che portavano in casa un po’ di moneta contante. Di solito, erano gli unici soldi liquidi per far fronte alle spese straordinarie. Erano le ragazze e le madri che avevano mantenuto un’eredità antichissima, arcaica, di conoscenze che permettevano di sfruttare le risorse del bosco, che tornava alla civiltà nomade dei cacciatori-raccoglitori. Erbe medicinali, piccoli frutti, funghi che venivano venduti al mercato. Erano loro che lavoravano al telaio e a maglia, provvedendo al vestiario e alla biancheria, e cercando di rendere più accoglienti le abitazioni. In questo modo si sono tramandati motivi decorativi e simboli le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Nelle zone con una qualche forma di turismo, le massaie affittavano le stanze, o lavoravano negli alberghi, facendo la 'stagione'. D’altra parte, una delle caratteristiche principali dell’economia alpina, è sempre stata quella della multiprofessionalità, perché l’agricoltura, da sola, non è mai riuscita ad assicurare il sostentamento.
Sulle Alpi, forse molto più che in pianura e in città, sembra che convivessero due società e due culture distinte, che comunicavano ben poco fra loro: quella degli uomini e quella delle donne.
Anche perché, dall’Ottocento in poi, gli uomini hanno cominciato ad emigrare per lunghi periodi: le donne si sono trovate da sole, senza nessun aiuto, a far funzionare un sistema economico complesso, sempre più insufficiente a soddisfare i loro bisogni sia materiali che spirituali.
Tradizionalmente, su tutto l’arco alpino, prima di sposarsi, molte ragazze 'andavano a serva': in questo modo, entravano in contatto con la città, con una civiltà e dei bisogni diversi, e tornavano con una diversa visione del mondo. In molti casi, però, quando rientravano dovevano rinunciare alla libertà e agli svaghi conquistati con il lavoro di domestica; ma talvolta le aspirazioni rimanevano, e venivano 'passate' alle figlie. Le donne delle montagne hanno cominciato ad andarsene, fisicamente o con la testa, nel desiderio, nel sogno, molto prima della fuga di quarant’anni fa, documentata dai sociologi e sancita dai rapporti demografici allarmati dal calo della popolazione.
La crisi della famiglia estesa, che ha migliorato la vita di molte donne di città, in molti casi ha peggiorato l’esistenza delle abitanti dei paesi. Perché si è alzata la vita media della gente, si sono rotti i legami di solidarietà di vicinato e di parentela: ciò ha portato ad un incremento della popolazione anziana, che sopravvive in media molto più a lungo ed ha bisogno di cure costanti e faticose, che non diminuiscono nel tempo, come per i bambini, ma aumentano. Non è raro che una donna di 40-50 anni debba occuparsi, oltre che di figli, casa e marito, anche di genitori, suoceri e zii vari non sposati. Le strutture di supporto non esistono o, per ragioni di obbligo morale, di pressione sociale, non si può servirsene: molte coppie, nei paesi, hanno dovuto tenere segreta la badante per i genitori anziani per paura delle critiche dei vicini (indirizzate naturalmente alla padrona di casa che 'non ha voglia di lavorare'). È molto probabile che una figlia che non vuole ricalcare il destino di sua madre e fare 'quella' vita, scapperà il più lontano possibile.
Marcinelle: località belga facente parte del comune di Charleroi, nota per le sue miniere di carbone
Le donne hanno risposto ad una repressione di secoli con la fuga: dal prete, dal paese, dai padri, dai fratelli, dai mariti, portando così ad uno spopolamento delle valli. Le donne erano l’elemento cardine non solo dell’economia, ma anche di quello che sta dietro ad un sistema economico: i suoi valori morali e civili. Hanno piantato i loro uomini e sono andate a lavorare in città, oppure, sono rimaste nubili, e sposate, non hanno voluto fare figli. Quale rifiuto poteva essere più radicale?
Le cifre dell’abbandono
Quando abbiamo elaborato le mappe dello spopolamento, abbiamo deciso di procedere in maniera nuova rispetto a quanto si era fatto fino ad allora: abbiamo voluto dividere i dati per sesso, per vedere se esisteva una differenza numerica e quantitativa riguardo ai comuni in cui la percentuale di presenze femminili fosse inferiore. In effetti, a prima vista le differenze sono lievi, è quasi impossibile notarle: lo spopolamento maschile e femminile, tra il 1951 e il 2001, e poi di decennio in decennio, come mostrato dalle figure, procede in maniera quasi parallela.
Ma i numeri assoluti non tengono conto di alcuni dati:
- le donne vivono di più degli uomini, quindi, ad un esame nettamente numerico, potrebbero risultare di più dei maschi, in percentuale non inferiore;
- per quanto riguarda poi le possibilità di studiare l’incremento/decremento demografico, a noi interessa la popolazione riproduttiva, e la componente in grado di riprodursi sulla percentuale femminile, per cui abbiamo pensato alle femmine fra i 20 e i 45 anni: di solito, l’inizio dell’età feconda per le donne inizia verso i 15 anni, ma la quantità di ragazze che effettivamente fanno i figli da adolescenti nelle nostre realtà è poco rilevante, quindi non l’abbiamo considerata;
- viceversa, per quanto riguarda il problema sociale dello squilibrio fra uomini e donne, la questione travalica l'età riproduttiva ma si allarga a quella in cui è probabile possa avvenire un matrimonio, che inizia verso i 20 anni per le donne nella nostra società (e a maggior ragione nei paesi, dove sono ancora frequenti le nozze con una sposa più giovane rispetto agli ambiti urbani) e che abbiamo allungato fino ai 49 anni, visto che oggi si sposano anche persone che una volta sarebbero state considerate troppo 'mature'.
Questa la ragione per cui abbiamo considerato la percentuale di presenze maschili e femminili fra i 20 e i 49 anni: ed ecco che la situazione ci si presenta davanti in tutta la sua gravità. Nella piantina, vediamo in rosa i comuni in cui la percentuale di uomini e donne fra i 20 e i 49 anni è uguale o le donne sono più degli uomini: si tratta di una ristretta, anzi ristrettissima minoranza dei comuni (18,2%). Su quasi tutto lo spazio alpino italiano, la componente femminile in condizioni di contrarre matrimonio e potenzialmente di riprodursi è in numero inferiore rispetto a quella maschile.
La situazione presenta diversi 'gradi di emergenza', i quali non fanno altro che confermarne la gravità. Il dato nazionale generale di donne presenta una prevalenza sugli uomini: siamo al 51,60%. Per quanto riguarda l’età compresa fra i 20 e i 49 anni, siamo al 49,88%. Nel Nord Italia, al 49,25%. Nelle province alpine però, se si prendono i comuni in cui la presenza di donne giovani è minore del 50%, la situazione si presenta ben diversa: nella stragrande maggioranza dei casi, i numeri sono sbilanciati sulla presenza maschile. Nell’82,25% dei comuni, le donne fra i 20 e i 49 anni sono meno del 50%. Nella stragrande maggioranza dei comuni alpini, ci sono dai 51 ai 55 uomini per 45-50 donne; ma, in gran parte delle zone più 'montane', le percentuali sono decisamente più basse: ci sono circa 60 uomini per ogni 40 donne; e, in alcuni comuni, si arriva ai 65 uomini per ogni 35 donne in età fertile. Percentuali minori esistono, nelle Alpi occidentali, ma su un numero ristrettissimo e isolato di comuni, circondati da altri che si trovano in situazioni più equilibrate (anche se la parità non esiste quasi da nessuna parte).
L’analisi delle migrazioni femminili nei comuni trentini dimostra che le donne non si spostano poi di molto. In realtà, più della metà (52,6%) sono rimaste in valle: ciò significa che, apportando delle modifiche alla qualità della vita nei paesi, potrebbero fermarsi ed evitare lo spopolamento. Anche se non è facile favorire dei cambiamenti che sono soprattutto culturali.
Le ragioni per questa vera e propria fuga della componente femminile della popolazione devono essere fatte risalire a considerazioni di ordine culturale. E, in effetti, è stata riscontrata una situazione di disagio generalizzato delle donne in gran parte nel corso del lavoro di campo. Sembra che, in Trentino più che altrove, nei paesi (ma anche nelle città!) non si accetti il cambiamento dei costumi e della moralità che è avvenuto negli ultimi decenni, la nuova condizione della donna, l’allentato controllo da parte della comunità di origine e della famiglia di appartenenza o di adozione, un diverso concetto del matrimonio e della relazione di coppia. Chi vuole vivere secondo schemi che sono ormai facilmente accettati a livello culturale, deve ancora andarsene.
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