L'insegnamento
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Pinocchio alla rovescia
di Rubem Alves
Un pezzo di legno animato. Un falegname che crea un figlio senza aver alcun rapporto con una donna. Una fatina, elemento sacro, che rappresenta l’anima del burattino, a cui concede il dono della vita e del libero arbitrio.
Un gatto e una volpe, tentazioni che indicano la strada in discesa della fama e della fortuna. Un grillo parlante, coscienza che parla, che parla, che parla. Un paese dei balocchi, metafora della vita caratterizzata dall’ignoranza, dalla ricerca della gratificazione immediata e dalla soddisfazione dei più bassi impulsi.
In quanti, da adulti, hanno letto il libro di Pinocchio?
Già da bambina, Pinocchio non mi sembrava adatto alla mia età e dopo la lettura serale di ogni breve capitolo andavo a dormire con una certa sensazione di ansia e disagio. Chi sbagliava andava incontro a punizioni terribili. Senza sconto alcuno. Giusto e sbagliato stavano su rive opposte e lontanissime con pochissimi e fragilissimi ponti di congiunzione. La redenzione dal peccato, la correzione dell’errore, avveniva sì ma solo dopo grandi pene e infiniti supplizi. La rilettura da adulta, poi, ha confermato le mie antiche riflessioni.
Pinocchio non è solo una storia fantastica. È il viaggio del singolo alla conquista di se stesso, il risveglio dall’ignoranza, il percorso di un individuo che cerca la dignità di uomo.
Pinocchio, dal film di Matteo Garrone
E qual è il primo strumento che gli viene fornito? l’Abbecedario.
«Appena il burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava disteso, e principiò a fare mille sgambetti e mille capriole, come se fosse ammattito dalla gran contentezza».
«Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me – disse Pinocchio al suo babbo – voglio subito andare a scuola».
Alla scuola, quindi, è affidato il compito di insegnare. Di trasmettere conoscenze, di trasformare l’ignorante in sapiente. Insegnare, correlativo di imparare, per ricavare una regola di condotta, una verità utile per la vita.
A mio avviso maestro è colui che risveglia in un altro essere umano forze e potenziali ancora latenti. Egli è chiamato a trasmettere bellezza, attraverso la quale fornisce al discepolo gli strumenti per guardare al mondo e alla vita con occhi puliti. Non si va a scuola per non diventare asini. Si va a scuola per scoprire la propria ricchezza, per esternarla nel migliore dei modi, per scoprire quanto la propria unicità si può unire sinergicamente all’unicità altrui.
Rubem Alves è stato uno dei maggiori intellettuali brasiliani del Novecento. Filosofo, psicanalista, pedagogista, poeta e scrittore di racconti per bambini, con il suo libro «Pinocchio alla rovescia» (Marietti 1820 Editore, 2021), ribalta, appunto, il significato del capolavoro di Carlo Lorenzini, evidenziando come la scuola ancor oggi non accompagni e aiuti il bambino nello sviluppo della sua unicità, ma lo trasformi, invece, in un burattino: un elemento di una moltitudine, simile a tutti gli altri, con un obiettivo omologato che il più delle volte non corrisponde al personale desiderio di realizzazione dell’individuo stesso.
«Sono l’intervallo tra il mio desiderio e quello che i desideri degli altri hanno fatto di me»
La citazione di Fernando Pessoa, all’inizio del libro, è la chiave di lettura dell’intero scritto. Un racconto all’incontrario: un bambino che nasce in carne e ossa e che la scuola trasforma in un’altra cosa.
Felipe è un bambino curioso, creativo, fantasioso, le sue domande sono poesie. «Chi ha inventato le parole?» «Perché i piccioni quando camminano muovono il collo avanti e indietro?» «Dove va la luna quando scompare?» «Cosa fa il mare quando andiamo a dormire?» «Perché la pioggia cade a gocce e non tutta in una volta?» «Quando moriremo, sentiremo nostalgia?». Felipe sogna di poter volare come gli uccelli, si stende sul prato e li guarda nel cielo.
Felipe non smette di domandare, e i grandi non sempre gli danno risposte. «A scuola imparerai…», gli dicono. E Felipe immagina la scuola come un luogo meraviglioso, ove ogni doppio si dipana e ogni curiosità viene saziata.
Ma Felipe scolaro il più delle volte non ottiene risposte perché le sue domande non sono nel 'Programma', non capisce perché le conoscenze devono essere solo quelle che servono per l’interrogazione, non riesce a concentrarsi sui pensieri che devono essere pensati. La sua attenzione si poggia dove il cuore desidera e non dove il maestro comanda. Non viene compreso e viene certificato come affetto da «disturbo dell’attenzione».
mente di Felipe viaggia su due canali: quello imposto dal 'Programma', al quale si adegua per compiacere genitori e insegnati, e quello interiore, fatto di sogni che spesso diventano incubi. Felipe smarrisce l’incanto delle sue domande. Diventa adulto, si laurea, diviene un professionista rispettato, diviene ricco. Ma non si sente felice.
Saranno i sogni, ancora una volta, a riportarlo alla sua dimensione originaria e solo lì troverà risposta alle sue poetiche domande di bambino.
«Pinocchio alla rovescia» è una riflessione critica sulla struttura educativa, sui programmi scolastici, sulla rigidità di un sistema che tende ad adeguare il singolo a modelli dominanti, sacrificandone l’originalità e autenticità. Rubem Alves auspica un percorso all’incontrario, una scuola in cui in bambini possano preservare il loro innato stupore, dove il processo educativo abbia un unico presupposto: insegnare ad essere unici.