L’inferno
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Un acre odore di zolfo
Spirito e materia, divino e carnale, un filo sottile che rovina l'uomo
di Ivan Mambretti - SECONDA PARTE
Rosemary’s Baby, di Roman Polanski, 1968
«Le condizioni climatiche dell’infernosono certamente sgradevoli, ma la compagnia dei peccatori credo che sia allegra e impareggiabile». Oscar Wilde
Occhio a come veste il maligno
Secondo Baudelaire la più grande astuzia del diavolo è far credere che non esiste! A parte il filone horror, che spesso utilizza immagini demoniache in modo grottesco e persino ridicolo col solo scopo di terrorizzare il pubblico, scene infernali o comunque riferite all’inferno il cinema ce ne ha fornite in abbondanza, popolandole di signori della notte che dispensano incubi, angosce, mistero, morte. Il diavolo appare nelle forme malvagie più disparate. Oltre a quello dell’immaginario collettivo (rosso, crudele, spaventoso, con le corna, la coda, le zampe di capra e il forcone), c’è anche il maligno che può presentarsi come un elegante dandy d’altri tempi. A volte veste Prada o più semplicemente aleggia nell’aria come qualcosa di impalpabile eppure devastante. La sua furia è tremenda. Affligge l’umanità con guerre, pestilenze, campi di sterminio, immani incendi, miserie e quanto di più brutto. Circola in incognito fra le popolazioni che muoiono di fame, ma insidia e destabilizza anche i benestanti.
Ci sono pellicole in cui il respiro di Satana corre lungo la sottile linea di confine fra la terra e gli inferi. Un concentrato di macerie della società industriale ce lo offre il cattolico Robert Bresson in Il diavolo probabilmente (citando Dostoevskij), del 1977. A un giovane studente deluso dal Sessantotto la vita e la realtà appaiono dominate da forze oscure. Il film è una denuncia della società contemporanea malata e degli squilibri ecologici che investono il pianeta. Sono in mostra i disastri naturali che fanno riflettere su come l’uomo tratta la natura, gli animali, le acque. Né sono di conforto allo studente la religione, l’amore, la politica. Per questo pensa al suicidio, e lo pensa come gli antichi romani che ordinavano a un loro schiavo di ucciderli. A uccidere il protagonista nel cimitero parigino di Père-Lachaise non è uno schiavo, ma un tossico. Il sacrificio, che non apre a nessuna redenzione, rimanda a un altro cult di Bresson, Mouchette (1967), una giovane contadina vittima di stupro che decide di farla finita lasciandosi rotolare nel fiume.
Madre Giovanna degli angeli (1961) di Jerzy Kawalerowicz è ispirato ai fatti di Loudun, località francese dove nel Seicento, in un convento di orsoline, si sarebbe verificato un caso di possessione di massa. Viene chiamato un esorcista che però non può farci nulla, nemmeno con l'aiuto della madre superiora. Tanto che lui stesso si immola cristianamente sul rogo per salvare le suore e l’umanità. La vicenda sarà ripresa dieci anni dopo dal blasfemo Ken Russell in I diavoli, con Oliver Reed e Vanessa Redgrave. Un autentico evento cinematografico, un successo straordinario all’epoca e oggi dimenticato.
Un classico indiscusso è invece Rosemary’s Baby (1968) di Roman Polanski, con Mia Farrow e John Cassavetes, giovane coppia che si accasa a New York. Dal momento che non conoscono quasi nessuno in città, accettano di buon grado l’invito a cena dei vicini. Vicini che diventano causa di incubi per la donna. Infatti rimane incinta per un concepimento avvenuto nel corso di un sabba onirico con la loro partecipazione. Una gravidanza atipica: la spaurita donna dimagrisce a vista d’occhio fra acuti dolori addominali. C’è qualcosa che non va, è chiaro. Darà infatti alla luce... il diavolo! Rosemary's Baby è una storia di puro terrore psicologico contrapposto a quello che dovrebbe essere il lieto evento per antonomasia. Isolamento, mutazione, smarrimento, perdita di controllo e del senso del reale. Insomma, un viaggio verso l'Anticristo. Il geniale Polanski è uno dei primi registi ad ambientare una storia di stregoneria in una metropoli anziché nel solito castello coi fantasmi.
I film satanisti che non hanno l’inferno come location raccontano comunque storie sulfuree. E il film che maggiormente odora di zolfo è L’esorcista di William Friedkin, dove la bambina posseduta, una Linda Blair che dà il brivido e fa ribrezzo, vomita bile e parla con voce dall’aldilà. Fra i numerosi sequel, piuttosto intrigante è The Exorcism of Emily Rose, mix di horror e legal-thriller che trae spunto da… “una storia vera”.
In Carrie - Lo sguardo di Satana di Brian De Palma una liceale timida e lentigginosa (Sissy Spacek) se la deve vedere con una madre paranoica e compagni di scuola spocchiosi e cattivi. Ma lei, anche se si lascia spaventare dalle mestruazioni, possiede straordinari poteri telecinetici che le consentono di vendicarsi: le sue energie represse provocano infatti incendi e stragi. Un film dominato dal sangue, da quello mestruale che cola fra le gambe di Carrie alla carneficina nella scena del ballo.
In Il signore del male (1987), horror metafisico di John Carpenter, uno scrigno rimasto chiuso per secoli viene aperto come il vaso di Pandora e da lì si scatenano forze demoniache. Il tema di fondo è il complicato rapporto fra scienza e religione dominato dall’inspiegabile, dall’insondabile, da una dimensione 'altra' rivelatrice di un ordine delle cose alternativo a come lo pensiamo.
Altri due film demoniaci, ma minori, sono Angel Heart - Ascensore per l’inferno di Alan Parker e L’avvocato del diavolo di Taylor Hackford. Il primo, confuso e artificioso, pone l’uomo davanti al bivio fra il bene e il male. Se sceglie il male, c’è un ascensore pronto a portarlo all’inferno! La trama, che si avvale inutilmente della luciferina performance di Robert De Niro, allude anche ai riti voodoo. Quanto a L’avvocato del diavolo, inizia come thriller giudiziario ma finisce in 'boiata pazzesca' a colpi di effettacci speciali. L’istrionico Al Pacino, nel film, si chiama John Milton (nomen omen: chi meglio di lui s’intende di paradisi perduti?).
Il cineasta e videoartista Peter Greenaway è autore, sul finire degli anni Ottanta, di una miniserie TV co-diretta con Tom Phillips che descrive otto dei 34 canti dell’Inferno. Le riprese utilizzano ogni nuova risorsa tecnologica. I canti non sono drammatizzati, ma illuminati da quadri stratificati con commento musicale ad hoc (per la cronaca, il viaggio dantesco è stato continuato fino al canto XIV dal regista cileno Raoul Ruiz).
Nelle pellicole che sfruttano i misteri vaticani, come Il rito, L’altra faccia del diavolo e i film ricavati dai romanzi di Dan Brown (Il codice da Vinci, Angeli e Demoni), c’è suspense ma non sostanza.
Belzebù in italia
Rovistando fra le pellicole del cinema italiano sul tema delle possessioni si può considerare di qualche interesse Il demonio di Brunello Rondi. Ambientato in Lucania, il film è una denuncia contro l'arretratezza e il bigottismo di un’Italia depressa dove il forte disagio dei diversi, dei fragili, dei disabili e degli emarginati può degenerare in follia. I registi italiani comunque non hanno l’horror nel DNA. I loro film sono piuttosto basati su annotazioni antropologiche e, nota positiva, i personaggi conservano un lato umano che li rende in qualche modo credibili. A meno che non la si butti in burletta, come i tre film di Totò. In 47 morto che parla di Carlo Ludovico Bragaglia il comico napoletano impersona un avaro barone odiato dai concittadini, che gli organizzano un perfido scherzo: fargli credere che qualcuno lo ha avvelenato e di essere finito in un dantesco al di là. Mentre in Totò all’inferno di Camillo Mastrocinque i dannati delle bolge del nord e quelli delle bolge del sud litigano per il tifo calcistico! A proposito di sport, il terzo film è Totò al Giro d’Italia, dove il re della risata vuole dedicare la vittoria alla donna che ama e per essere sicuro vende l'anima al diavolo. Il regista Mario Mattoli ben documenta il clima sportivo degli anni Cinquanta schierando in fugaci cammei assi quali Coppi, Bartali, Fiorenzo Magni, Nuvolari, Consolini ecc.
Il piccolo diavolo è una verbosa commediola che si regge su nonsense e doppi sensi. Interessa qui il confronto fra due scuole di recitazione: lo spassoso Walter Matthau, sbarcato da Hollywood, e il funambolico Roberto Benigni, sfornato del nostrano cabaret. Benigni, diavoletto fiorentino, è richiamato infine alla sede centrale per intercessione di una... diavola.
Dario Argento, lugubre antesignano del genere splatter, immagina un Inferno (1980) dominato da Tre Madri come una Trinità rovesciata, dove al posto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ci sono Sospiri, Lacrime e Tenebre. Dall’alto dei cieli l’uomo, non dissimile da Lucifero, precipita sulla terra in un buco nero sommerso da una sorta di liquido amniotico che mescola spazio e tempo.
Diverso da Argento è Pupi Avati, maestro dell’horror padano, un horror casereccio, ricco di risvolti umani, autore del recente Il signor diavolo, dove evoca le storie di paura che un tempo le nonne raccontavano alla sera, davanti al caminetto o nelle stalle dei casolari. Avati ha annunciato di avere pronto un suo omaggio a Dante nel 700° della morte. Adesso che le sale cinematografiche si stanno riaprendo, speriamo di poterlo vedere presto.