L'identità
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Identico a chi?
Tra sistema neurocomputazionale e autotrasparenza
L’occhio è trasparente ed è proprio in virtù di questa sua qualità che non lo vediamo – se non quando si ammala –, ma che vediamo il mondo.
Quando, per diversi motivi (quale, ad esempio, la cataratta), diventa opaco, non svolge più la sua funzione 'altruistica' di farci vedere il mondo e vede se stesso. Per svolgere la sua funzione naturale, la conditio sine qua non dell’occhio è dunque la trasparenza; così l’io! L’attività dell’io è costantemente assorbita nei processi sensoriali, cognitivi, emotivi e volitivi, al punto che l’unità esperienziale a cui fanno capo le diverse attività – il cosiddetto ‘io fenomenico’ – viene ipotizzata come necessaria, sia dalla coscienza ingenua che dalla tradizione aristotelico-tomistica, ad esempio.
Il modello empirico di riferimento è il corpo fisico. Nel corpo vengono processate innumerevoli funzioni e attività organiche, psichiche, mentali e così via. Insomma, il corpo è una molteplicità di strutture e funzioni molto differenziate tra loro, ma come tale è un'unità interconnessa e continua, dove tutti gli elementi che lo compongono sono discreti e contingenti, ma retti da una ‘regia’ naturale autopoietica e saggia, seppur inconscia.
Il Tunnel dell’Io, secondo Thomas Metzinger
La trasparenza dell’io, rilevata anche da Thomas Metzinger[1], invece di portare a ‘nessuno’, nel supremo e sublime atto autocosciente e autotrasparente, e solo in esso, si trasforma in un io che si ritrova là dove è sempre stato: non in un omuncolo dentro la scatola cranica, o in un altro ingenuo ‘dove’ interno, ma nel fuori cosmico, vivente e sociale. Le categorie dentro/fuori non vanno intese naturalmente in senso spaziale, bensì vanno intese come espressioni di una dinamica sovraordinata, di un processo in un ordine implicato a-spaziale e a-temporale. L’autosuperamento di una immersione e di una identificazione nelle maglie oscure di Maya, generatrici di illusione, cioè l’autotrascendenza dell’io fenomenico, paradossalmente permetterebbe di riconoscere la severa utilità dell’incantamento cerebrale e delle relative produzioni illusorie. Contrariamente ai paradigmi neurofilosofici e neuroscientifici, però, l’io nella sua autotrasparenza è in grado di sperimentare la differenza tra produttore e prodotto, in virtù del fatto che la riflessione termina e inizia l’intuizione creativa, capace, tra l’altro, di orientare e costruire l’ulteriorità del futuro emergente. Processo attraverso il quale la separazione (illusoria, ma fenomenicamente reale) tra essere e coscienza termina, si estingue nella lux aeterna[2] del Bene platonico[3].
La trama del tessuto rappresentativo, Lucio Fontana docet, se non viene artisticamente ‘strappata’, non può se non irretire nel suo tralignare permanente; la falsificazione è il suo modus operandi. Lo ‘strappo’ permette all’istante e nell’immediatezza l’emergenza di lampeggiamenti: per l’apprendista d’arte (l’arte di vivere) nella forma di folgorazioni intermittenti e per l’Artista nella forma astratto-concreta e permanente, nella sua metamorfosi, della vera Luce. Si pensi a Beethoven o a Dostoevskij o a Dante o a Leonardo, ad esempio, che con i loro suoni, le loro immagini e parole sono capaci di portare tutti in un’altra dimensione, dal carattere transpersonale: una regione che va intesa come la “madre di tutti gli individui”[4].
[1] Vedi: Thomas Metzinger, Il tunnel dell’Io
[2] Cfr. al-Suhrawardí, Filosofia dell’illuminazione