Il tempo
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L'età delle grandi scoperte
... e delle malattie devastatrici della vite europea
www.riccagioia.comLe prime viti selvatiche, le vitis silvestri, popolavano la terra già prima che l’homo sapiens avesse fatto la sua comparsa. Ciò è testimoniato dalla scoperta di vinaccioli risalenti ad oltre 60 milioni di anni fa.
La vitis vinifera che l’uomo seppe magistralmente addomesticare ed utilizzare risale invece ad almeno 10 mila anni or sono. La storia della vite è perciò una storia lunga e tortuosa. Il 1800 fu da molti considerato, per il vino e la vite, il “secolo dell’oro” per una serie infinita di motivi. Specie in Italia e in Francia i progressi scientifici rappresentarono un fattore determinante per lo sviluppo della coltivazione della vite e per il miglioramento della qualità enologica.
In Italia il lombardo Acerbi gettò le basi dell'ampelografia, a cui seguirono il Di Rovesenda che elaborò la famosa Ampelografia universale. Il Conte di Cavour, che chiamò in Italia l’enologo francese Oudart, e i Marchesi Falletti diedero vita alla produzione di Barolo nello stile che oggi conosciamo. Prima di allora il Barolo era un vino dolce e frizzante. In tutto il Piemonte si diffondeva il sistema di allevamento della vite a Guyot. Carlo Gancia trapiantò le barbatelle di pinot iniziando la produzione dello spumante con lo stesso metodo (champenoise) utilizzato per il già celebre Champagne. In enologia si realizzò la chiarificazione del vino con una metodologia moderna. In ogni caso la più grande scoperta del secolo la si deve allo scienziato francese Louis Pasteur (universalmente considerato il fondatore della moderna microbiologia) a cui si deve la scoperta della funzione dei lieviti nel processo di fermentazione dell’uva, l’invenzione del metodo di pastorizzazione, e come conseguenza delle sue scoperte la possibilità di debellare i processi anomali, le alterazioni o le malattie del vino. Al riguardo vale la pena riportare lo stralcio di una lettera che lo stesso Pasteur presentò nel 1862 all'Imperatore Luigi Napoleone: “Sfortunatamente i vini francesi sono messi a rischio nei lunghi viaggi. Sono soggetti a numerose malattie: a inacidirsi (…) a diventare viscosi o amari (…) Una volta scaricati peggiorano, e tanto più quando sono affidati a mani poco esperte, in cantine inadatte senza le mille attenzioni che fanno del corretto trattamento del vino un’abilità rara, perfino in Francia”.
Louis Pasteur (www.biography.com)
Munito di microscopio e vetrini Pasteur cominciò a girare per i paesi e le cantine francesi dimostrando che le malattie del vino erano provocate da certi batteri. La soluzione arrivò quando dimostrò che questi batteri, come tutte le altre creature hanno bisogno di ossigeno per riprodursi. Chiuso in una provetta senz'aria il vino rimaneva invece stabile. E il batterio più comune, anzi l’unico, presente in tutti i vini è quello dell’aceto. Ne consegue che esposto all'aria il vino si trasforma in aceto. Da qui il rimedio che suggerì Pasteur, al quale si deve, tra le altre, anche la scoperta del vaccino antirabbico. Ma trovati i rimedi, grazie a Pasteur, che migliorarono la qualità e la sanità del vino, nubi nere si stavano addensando all'orizzonte della viticoltura europea.
La prima piaga fu l’oidio (oidium tuckeri), conosciuto anche come “mal bianco”, segnalato nel 1847 a Parigi, che si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Si tratta di un fungo parassita, vera e propria malattia della vite, che provoca gravi danni ai vigneti e ne riduce la produzione. In ogni caso la cura e il metodo di controllo furono trovati nel giro di un decennio. In Italia grazie all'uso dello zolfo si ebbero i primi positivi risultati già nel 1853. Dopo l’oidio arrivò la fillossera (philloxera vastatrix) e dopo questa la peronospora. La fillossera fu il male peggiore. Questo afide proviene da oltreoceano e fu la velocità delle navi a vapore che consentì alla fillossera di approdare viva in Europa. In precedenza le fillossere imbarcate su navi a vela, ben nascoste in fasci di piantine di vite americana avvolti nella tela o sulle radici delle piante in vaso inviate in Europa come ornamenti o per essere usate per esperimenti. Le lunghe settimane passate in mare le uccideva tutte. Solo attorno al 1850 le navi a vapore ridussero i tempi di viaggio tra l’Europa e l’America a circa dieci giorni, la fillossera arrivò prima, viva, proprio nel punto in cui le viti erano più diffuse ossia la foce del Rodano. Da lì ebbe inizio il flagello che distrusse in poche decine d’anni più dei tre quarti della produzione viticola ed enologica europea. I suoi effetti (o primi sintomi) furono notati per la prima volta ad Arles in Provenza. Poi si diffusero verso est e verso ovest dalla zona della foce del Rodano. Tre anni dopo i primi sintomi la pianta era solitamente morta, distrutta. All'inizio sembrava una malattia locale, anche se preoccupante perché sconosciuta. Invece la diffusione a macchia d’olio si propagò in tutta Europa. La difficoltà maggiore per studiare un efficace rimedio a questo autentico flagello deriva dal fatto che quando la pianta è morta l’afide colpevole se n’è già andato a nutrirsi su un'altra pianta. L’aspetto più appariscente della vite morta, una volta sradicata evidenziava la pratica scomparsa di tutto l’apparato radicale.
La fillossera in una vignetta del settimanale Punch, 6 settembre 1890
In Italia i sintomi della fillossera vennero osservati nel 1875 nelle vicinanze di Lecco. Successivamente numerosi focolai di fillossera furono rinvenuti a Caltanissetta, Messina, in Liguria, poi nel 1886 in Piemonte e nel 1889 Toscana. Seguirono le altre Provincie, a fine secolo il fenomeno interessava 350 mila ettari e quasi mille Comuni. Nel 1931 la fillossera era accertata in ben 89 delle 92 Provincie italiane. Risultato: in Italia oltre il 25% della vite coltivata venne completamente devastata, in alcune zone fu un autentico sterminio. In Valtellina, giunta in ritardo agli inizi del ‘900, dopo l’oidio e la peronospora, per esempio, la distruzione fu quasi totale. Da considerare che la Valle aveva già subito a partire dal 1851 un'altra pestilenza, la crittogama ossia l’oidio, che ridusse alla fame buona parte della popolazione dedita alla vitivinicoltura. Si leggano al riguardo "Le considerazioni sulle condizioni economiche della Provincia di Sondrio" redatte da Stefano Jacini per conto del governo Austro-Ungarico.
Si può affermare che la fillossera sterminò le viti europee, con poche eccezioni, e mise a serio rischio la stessa sopravvivenza della viticoltura nel Vecchio Continente. Il mistero relativo alla individuazione del parassita venne risolto dopo aver sradicato una vite colpita dai primi sintomi, ciò mostrò una massa brulicante di piccolissimi afidi (grandi come una punta di spillo) talmente numerosi che “le radici sembravano dipinte di giallo”. Tale “scoperta” è dovuta ad un entomologo dell’Università di Montpellier, Jule-Emile Planchon (luglio 1868). A quel punto la sua origine era ancora del tutto sconosciuta e l’America non era nemmeno sospettata. Invece la fillossera venne scoperta per la prima volta sulle foglie della vite nell'America del Nord da tale C.H. Fitch già nel 1854. Ma a quei tempi le notizie non circolavano come ai nostri tempi.
Furono perciò fatti infiniti tentativi per debellare il flagello, tutti infruttuosi o con risultati tali da rendere poco gradevole il vino, come quello di piantare viti americane resistenti alla fillossera, soluzione che venne scartata causa il pessimo sapore della bevanda. Durante un congresso a Beaune in Borgogna venne suggerito il metodo dell’innesto ossia piantare la vitis vinifera europea su radice di vite americana. Nessuno sapeva a quei tempi che le viti americane erano resistenti alla fillossera. Fu il solito Planchon a scoprire l’origine della fillossera. Passarono gli anni e infine i diffidenti vigneron francesi si decisero di provare l’innesto della vitis vinifera su piede di radice americana. Ma il timore fu che il vino non avrebbe più avuto quelle caratteristiche aromatiche di qualità che distinguevano i grandi vini di Borgogna, Bordeaux ecc.
Nella regione dello Champagne
La zona della Champagne, per esempio venne attaccata dalla fillossera soltanto nel 1901. La crisi durò oltre quarant'anni e con essa le dispute tra i sostenitori del rimedio di natura chimica e gli innestatori. Nel frattempo (1878) si abbatté sulla Francia (e, in seguito, sul resto d’Europa) la “terza piaga d’Egitto” (per usare un termine biblico), ossia, sempre originaria dall'America, la peronospora (fungo Plasmopara viticola) che come l’oidio indeboliva il vino e riduceva drasticamente i raccolti. In questo caso occorsero solo quattro anni per trovare il rimedio e prevenire il terzo flagello: la poltiglia bordolese ovvero una miscela di solfato di rame e di idrato di calcio. Per risolvere il problema della fillossera occorsero invece decenni poiché, ovunque, si dovettero sostituire i vitigni innestandoli sul piede di vite americana. Per fare un esempio nella sola Francia esistevano undici miliardi di viti che andavano rinnovate, per dare a tutte una radice americana ci sarebbero voluti tre milioni di chilometri di portainnesti. Ragion per cui furono necessari decenni per rinnovare completamente il vigneto europeo e renderlo resistente all'attacco della fillossera.
Qua e là sopravvissero alcune isole resistenti al micidiale afide. Si tratta di vigneti o piccole zone che oggi vengono definite “a piede franco” perciò più longeve e meglio adatte all'ambiente naturale. Si tratta di viti piantate su terreni sabbiosi oppure a temperature “estreme” poco ospitali per l’afide. In Italia abbiamo le zone vulcaniche (Etna) oppure la Valle d’Aosta o il Bosco Eliceo nelle provincie di Ferrara e Ravenna dove si coltiva il vitigno fortana. In Portogallo nella Valle del Douro la Quinta de Noval, in Francia nella Champagne ad Aÿ. Ecco perché qualche volta troviamo in etichetta di questi vini la scritta “piede franco” oppure "vieilles vignes", si tratta sempre di vini prodotti esclusivamente con uve “pre-fillossera”.