Il paesaggio
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Il belpaese
De antiquissima italorum sapientia
L'albero degli zoccoli, di Ermanno Olmi
Sotto il profilo del paesaggio, è una vera fortuna abitare in Italia, “il bel paese ch’Appenin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe". [1]
Terra di paesaggi tra i più incantevoli e meravigliosi al mondo, che a volte, per abitudine, forse per un surplus di bellezza non riusciamo ad apprezzare adeguatamente. Ce lo ricordano, però, i numerosi turisti, ogni giorno, con le loro macchine fotografiche, le loro guide, le loro domande e i loro soldi spesi qui da noi, e i quarantasette siti italiani riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità, metà dei quali è riconducibile al Medioevo. Forse ci manca un’educazione adeguata, una sensibilità preparata alla bellezza, per capirla, per apprezzarla.
E L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi? Un’atmosfera diafana e d’altri tempi, paesaggi sociali oltre che fisici, come tutti i paesaggi, anche i nostri: la miseria allora, forse, va ricercata in un cuore e in una mente predatori o goderecci, non più capaci di progettare oltre che di conservare i paesaggi, se non attraverso miseri e ‘furtivi’ pensieri da burocrate impazzito.
Il Canzoniere di Francesco Petrarca
Il paesaggio da sempre è antropizzato, gli interventi dell’uomo nel corso dei secoli hanno creato ciò che tutti noi quotidianamente abitiamo e viviamo. Certo è che oggi i problemi si sono moltiplicati in virtù del fatto che lo sviluppo accelerato e scriteriato ha spostato l’attenzione su priorità di tipo economicistico, di sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, a volte senza neppur un minimo riguardo conservativo nei confronti di paesaggi costruiti in epoche in cui l’estetica era vita, era un vissuto profondo. Oggi, invece, si assiste a un’estetizzazione, a una spettacolarizzazione, a una esibizione di gusci vuoti in luogo di una vera e vissuta estetica che si è formata, grado a grado fin da tempi remotissimi, nella progettazione e realizzazione di paesaggi, insieme artificiali e naturali, da riguardare come delle vere opere d’arte, ma anche come la nostra identità culturale perché “il paesaggio, infatti, non è mai soltanto ciò che si vede, la fotografia attuale dei territori, ma anche quel che rimane invisibile agli occhi, vale a dire le interazioni con le società che nel tempo hanno costruito una simile immagine e l’hanno riempita di significato [2]”. Ma un presente a-prospettico riduce in cenere una tradizione millenaria, certo anche l’antiquissima italorum sapientia, ma anche un colto, spontaneo e popolare saper fare: è come scomparsa quella “goccia fresca dell’azzurro” mentre le “pallide file di case… già il buio hanno succhiato in sé [3]”. Che dire poi di un futuro ‘pensato’ e progettato da modernissimi designer: inquieta alquanto essere disarmati, come lo si è di fronte alla stupidità!
Una svolta radicale, se non è troppo tardi, abbisogna quest’uomo stracco e sfiancato: diventare il senechiano spectator novus e finalmente imparare a vedere il mondo, scoprirlo autenticamente “sotto forma di rimozione dei velamenti e degli oscuramenti e come chiarificazione delle contraffazioni con cui l’Esserci si rende prigioniero di se stesso [4]”, e così accedere all’ “Aperto” rilkiano affinché l’essere umano sia “salvo e redento per l’eternità [5]”. Niente di più, ma neppure niente di meno!
[1] Petrarca, Canzoniere, CXLVI
[2] R. Rao, I paesaggi dell’Italia medioevale
[3] Rilke, Paesaggio
[4] Heidegger, Essere e tempo
[5] Rilke, Ottava elegia