I colori
- Categorie: I colori sei in Letteratura
Bianco & Nero
«Il cuore nero di Paris Trout» scritto da Pete Dexyer
di Luca Conca
Il titolo originale de Il cuore nero di Paris Trout , romanzo scritto nel 1988 da Pete Dexter, vincitore del prestigioso National Book Award, è semplicemente Paris Trout, il nome del protagonista.
Storco sempre un po’ il naso quando l’editore si prende delle libertà con la traduzione di un titolo. Quello dato dall’autore, soprattutto in un’opera letteraria, è un elemento importantissimo, inseparabile dall’opera, proprio perché scelto tra quelle stesse parole, quello stesso linguaggio di cui è fatto il libro. Le parole scritte hanno lo stesso valore, fuori e dentro la pagina, e l’autore è giudice unico e insostituibile.
Ma in questo caso aggiungere quelle tre parole, “il cuore nero”, crea una silenziosa e pesante densità attorno al protagonista e svela fin da subito un senso di violenza e ineluttabilità.
Paris Trout è un rispettabile commerciante della piccola cittadina di Cotton Point. Bianco, benestante, una moglie. Paris Trout è un americano perbene come tanti, ma ha ucciso una ragazzina nera di quattordici anni, pensando di difendere i propri diritti e la propria libertà, per ristabilire l'ordine naturale delle cose. E questo omicidio infiamma gli ambigui sensi di colpa di un'intera comunità che improvvisamente deve guardarsi dentro, nel proprio cuore nero. Più di tutti è la moglie Hanna ad essere spaventata e ferita dalla degenerazione di un uomo che era stato suo marito.
Paris Trout dovrà essere giudicato per il suo crimine in un processo in cui tutti scopriranno che il suo è un mondo terribile, fatto di orgoglio e brutalità, passioni e violenza, sopraffazione e illegalità. L'unico che esista davvero.
Questa la trama. E quindi quel colore, nero, ecco che diventa necessario; travalica il suo senso figurato, metaforico e definisce un carattere e un’aberrazione. Non è il traduttore a volerci presentare così il protagonista. Questa definizione la troviamo nel romanzo e viene da uno dei personaggi più intensi, quasi simbolici: Mary McNutt, la donna di colore che accoglie nella sua casa Rosie, la quattordicenne a cui Paris sparerà, pronta ad occuparsi di lei come se fosse sua figlia; lei che di figli ne ha già tre e stenta ad arrivare alla fine della giornata. Mary non teme Paris Trout, ma ne conosce tutta la pericolosità e la degenerazione. “Ma dentro”, disse, e si toccò il petto “dentro, è debole”, dice Mary. “Quell’uomo fa paura a chiunque abbia un po’ di buon senso”.
La contrapposizione qui non è tra bianchi e neri (anche se il romanzo si colloca perfettamente in tutta quella letteratura che ha come sfondo un’America profonda e crudele, retriva e razzista), ma direi tra bianco e nero, tra ragione e brutalità, tra una chiarezza, un nitore morale e una brutalità che diventa oscurità. La dimensione morale dei suoi personaggi, che si contrappongono in modo così netto, potrebbe essere il vero tema del romanzo, ma tutto assume presto una qualità così impura, contaminata che è come se l’omicidio (assurdo, ingiustificabile ancor prima che violento) avesse infettato tutta l’aria attorno e non fossimo più così sicuri della vera natura delle cose e degli uomini. Non a caso il libro si apre con il resoconto di alcuni casi di rabbia canina registrati nella contea di Ether, in Georgia.
Pete Dexter divide il libro in capitoli che portano i nomi dei protagonisti: Trout, Rosie, Seagraves (l’avvocato che dovrà difendere Paris), Hanna (la moglie di Paris), Carl Bonner (l’altro avvocato, giovane e idealista) e li alterna, come si alternano le immagini, i luoghi, gli ambienti, gli istinti, le pulsioni. Ancora la contrapposizione tra una luce, un colore (che è anche un indicatore umano e morale) e la sua mancanza. Hanna è una presenza “bianca”, diafana, dalla pelle chiara e luminosa, che si contrappone al marito (Dexter non lo descrive) al quale attribuiamo una fisionomia vaga e sfuggente. La profondità dell’abisso di violenza e ottusità di Paris è la negazione di una linea di orizzonte, di un limite, di un varco che è dato e controllato dalla società civile. Paris è sopra la legge degli uomini perché la sua mente ossessiva è ripiegata su un senso violento e distorto di giustizia.
Ma anche negli ambienti c’è una forte e insinuante contrapposizione. Il negozio di Paris, sempre immerso nell’oscurità e il retro, in cui Paris ha il suo ufficio e dal quale emerge quando sente tintinnare la campanella dell’entrata che annuncia un cliente. Un luogo senza aria, senza luce; ancora una mancanza. E invece la luminosità della casa in cui vive con Hanna, dalle pareti spoglie e dai soffitti alti, ma luminosa perché vuota e desolata.
Il chiuso quartiere nero di Indian Heights, con l’umanità dolente e sofferente di poveri cristi, braccianti e perdigiorno che se ne stanno silenziosi sulla soglia delle loro abitazioni a guardare qualsiasi bianco che capiti da quelle parti. E La piccola cittadina di provincia di Cotton Point, con la sua larga via centrale e i campi tutt’intorno che arrivano fino al margine illuminato dal sole.
Il libro poi è diviso con ancor maggiore nettezza in due parti: tensiva, insopportabile la prima, quasi grottesca la seconda. Ciò che è stato ha segnato uno spartiacque tra l’ordine morale, la coscienza e la follia, che separa anche la vita del protagonista e le vite di chi deve per forza di cose avere a che fare con lui. Non solo non è possibile accettare la ferocia che muove e giustifica Paris, ma nemmeno la sua vicinanza, la ripetitività dei suoi gesti e delle sue ossessioni quotidiane, il suo vivere, insomma.
La sua libertà, ha qualcosa di osceno. Ha scritto il Washington Post Book World: “Il grande trionfo di Pete Dexter sta nel ricordare a tutti noi - con assoluta lucidità e pungente franchezza - fino a che punto siamo capaci di negare il razzismo che portiamo nell'anima e per convincerci che siamo innocenti".
Il cuore nero di Paris Trout non è solo una dolorosa rappresentazione di quella che è stata la vergognosa eredità lasciata dagli stati del profondo sud dell’America, ma la storia di una negazione, di un’oscurità, di una mancanza, quella della ragione e dell’umanità.
Pete Dexter (nato nel 1943 a Pontiac, in Michigan) ha iniziato come giornalista, lavorando come editorialista per il Philadelphia Daily News, il Sacramento Bee e il Seattle Post-Intelligencer, tra gli altri.
Nella sua vita c’è però un grave episodio di violenza che coincide con la sua decisione di lasciare il giornalismo e dedicarsi alla narrativa: nel 1981 scrive un articolo su un omicidio avvenuto a Filadelfia per un affare di droga andato storto. La famiglia della vittima si lamenta con il giornale e Dexter va a parlare con Il fratello della vittima, proprietario di un bar, per chiarire il suo punto di vista. Nel locale, trenta cittadini, ubriachi e inferociti per ciò che è stato pubblicato, aggrediscono lo scrittore che è vittima di un tremendo pestaggio, anche con mazze da baseball. Dexter è ricoverato in ospedale con la schiena e l’osso iliaco rotti, commozione cerebrale e devastazione dentale. Questi traumi, sommati a quelli già sofferti in passato per incidenti stradali e a causa del suo passato da pugile dilettante, lo resero parzialmente disabile e lo costrinsero a sottoporsi per anni ad interventi chirurgici.