La storia
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Le donne delle Alpi
Storia di donne senza storia
di Michela Zucca - SECONDA PARTE
Nella concezione tradizionale della storia, l’elemento centrale è l’individuo, protagonista di un tempo istantaneo caratterizzato da oscillazioni brevi, rapide, nervose: gli eventi.
La storia delle donne è costruita su fatti di lunga durata
I fatti che formano la storia-racconto, che avrebbe la pretesa di riferire le cose come sono 'realmente' accadute, mostrando come la vita degli uomini sia determinata da accidenti drammatici, dal capriccio (o dalla volontà?) di esseri eccezionali, padroni del destino e di quello dei loro contemporanei. È la storia vista dall’alto, la vicenda degli eroi e delle grandi scoperte che, seduta stante, possono cambiare le sorti dell’umanità. Imperniata sul dramma degli avvenimenti estemporanei, la storiografia politica lavora essenzialmente sul tempo breve. Ma le trasformazioni che modificano effettivamente l’esistenza delle persone raramente derivano dai personaggi carismatici che segnano un’epoca: sono il risultato di tempi lunghi, di flussi che si misurano in secoli, forse in millenni: avvengono secondo i ritmi conosciuti e analizzati dagli antropologi, tempi geografici, tempi sociali, non lineari, non teleologicamente orientati.
La storia delle donne è storia di fatti di lunga durata: anzi, ad un lettore poco attento, sembra una non-storia, talmente lunghi sono i tempi del cambiamento: secoli, millenni talvolta, che si fa fatica a seguire. Che fanno fallire l’interpretazione dell’uomo (maschio…) come 'fattore di progresso'. Perché finalmente si scopre che la storia è un flusso che scorre indipendentemente dal volere dell’individuo, in cui ciò che conta è la somma delle capacità, delle volontà e delle possibilità di fare e di cooperare: tutte quelle cose che le donne, relegate nella marginalità della non esistenza, della non importanza, della non creazione, sanno benissimo da sempre. Non può esistere creazione maschile senza lavoro femminile di riproduzione dietro; lavoro che è costante, che dà la sicurezza della permanenza, che sembra non cambiare mai e che invece determina e causa qualunque tipo di 'progresso' o di 'evoluzione”'.
Le due madri, di Giovanni Segantini
Quando si studiano i fatti di lunga durata, bisogna capovolgere metodologia e motivazioni che fino ad ora, per la stragrande maggioranza delle élites acculturate occidentali, sono state date per scontate. Le dottrine ideologiche, le costruzioni intellettuali, le produzioni del pensiero colto (dalla filosofia alla teologia; dalla scienza all’arte) non spiegano le metamorfosi culturali: ne sono la conseguenza, e quindi devono essere spiegate. In termini antropologici: cioè attraverso le variazioni delle mentalità, della sensibilità, delle modalità di percezione, che sono quasi impercettibili se si tenta di misurarle anche solo in decenni. Non basta: le onde lunghe della storia non scorrono con la stessa velocità ovunque; possono tornare indietro; non sono legate alla nostra idea di progresso; non sopportano paletti e limitazioni razionali: anzi, frequentemente sembrano muoversi contro il flusso banale del pensiero comune corrente, senza una motivazione esplicita. In queste condizioni, lo storico può utilizzare i metodi che gli antropologi hanno già testato: quelli che portano alla luce i cambiamenti di mentalità.
La storia della vita privata
La storia che ancora oggi si studia a scuola riguarda prevalentemente i 'grandi fatti': guerre, nascite di stati, spostamenti di popoli, conflitti economici, scoperte scientifiche eclatanti e attribuibili ad una 'genio', episodi puntiformi ritenuti di enorme importanza. I 'grandi fatti' sono determinanti quasi sempre dai maschi. Poche le donne che lasciano un segno nelle vicende dell’umanità e quando ciò riesce comunque ad accadere, nella stragrande maggioranza dei casi, appartengono alle caste dominanti, che gestiscono la vita pubblica e hanno una voce propria.
Anche quando si analizzano le strutture associative, si privilegiano quelle che coinvolgono decine di migliaia di persone (meglio se centinaia di migliaia), che hanno influenzato direttamente la 'grande' politica: partiti, sindacati…, guarda caso, ancora una volta, a composizione nettamente maschile, e si trascurano quelle di minor consistenza numerica, o quelle non organizzate, non circoscrivibili, poco definibili, come le forme di socialità e di aggregazione di paese, di quartiere, per gruppi di età, su base sessuale, o la stessa famiglia. I fenomeni sociali non scritti, non formalizzati, non istituzionalizzati, che cambiano lentamente, in maniera impercettibile, che formano la maggior parte dell’esistenza della maggior parte della gente, sono, quando va bene, relegati nella definizione peggiorativa di folklore, caratteristica, fra l’altro, delle classi subalterne, contrapposta a ciò che invece determina la storia, prerogativa dei ceti colti e urbanizzati, dominanti. In queste condizioni, la vita quotidiana diventa una specie di residuo storico, una curiosità per appassionati e curiosi, a meno che non si tratti delle biografie dei 'personaggi insigni'.
Negli ultimi decenni, però, si è realizzato uno spostamento radicale del campo di interesse delle discipline storiche: sotto l’influenza della Scuola delle Annales, e del gruppo di ricercatori che fanno capo a Georges Duby, si è costituita una nuova corrente in cui la storia si mischia con l’antropologia, e l’oggetto di analisi diventa la vita privata della gente. Fra l’altro, questi libri hanno raggiunto tirature da best sellers, perché anche l’uomo della strada, improvvisamente (!), si è interessato alla storia: ha sentito questa materia vicina, importante, piacevole, diversa da ciò che era costretto ad imparare a memoria senza capire, senza riuscire ad inserire i pezzi della sua storia personale nelle vicende di re, di generali, di papi che gli raccontavano in classe.L’approccio etnologico allo studio della storia della vita privata consiste nel porre un’attenzione particolare a quei dati secondari che, per molto tempo, sono stati ritenuti indegni di analisi scientifica, poco importanti, 'non determinanti'. Si tratta di un metodo microsociologico, che lavora su uno spostamento radicale dei centri di interesse tradizionali delle discipline sociali, verso l’infinitamente piccolo e il quotidiano. Il ricercatore deve mettere a fuoco i comportamenti più abituali, non gli eventi eccezionali: quelli in apparenza più futili, più normali, meno coscienti: l’alimentazione, il modo di vestire, la sessualità, la maniera di concepire i sentimenti, le relazioni all’interno della famiglia, gli oggetti d’uso, le cerimonie che scandiscono l’esistenza di una persona, il modo di parlare, ciò che viene detto e fatto in pubblico e ciò che rimane custodito nella privacy… In breve: tutto quanto forma l’oggetto di studio di un antropologo durante il suo lavoro di campo, in una comunità delimitata e diversa, diventa argomento di indagine anche per lo storico della vita privata. Il quale, però, deve ricostruire un passato per il quale spesso non esiste una documentazione specifica. E allora, come fa? Suggerisce Duby: dal momento in cui cerco di colmare queste lacune, questi interstizi, di gettare dei ponti, di riempire queste faglie, questo non detto, questo silenzio, in certo modo aiutandomi con ciò che so, interviene l’immaginazione.
La storia della vita privata è essenziale nella ricostruzione della storia delle donne, perché il privato è stato ed è ancora il loro ambito privilegiato di vita, di azione, di manovra, di gestione del potere, di produzione e riproduzione culturale. Perché il pubblico è stato per lungo tempo negato, ed ancora oggi, le donne faticano ad esporsi, e la loro voce è muta.
Il ritorno dal bosco di Giovanni Segantini
L’uso delle fonti orali e biografiche
Per millenni, l’uomo, e soprattutto la donna, ha tramandato la propria storia attraverso la parola, il racconto. Una grossa fetta di questo enorme patrimonio orale è composto da biografie o autobiografie: cioè narrazioni di vicende di altri, o ricordi di fatti accaduti al narratore stesso. Tra il 19° e il 20° secolo, la società occidentale ha fatto un salto economico e culturale velocissimo, che, in cambio di uno sviluppo senza precedenti, ha sconvolto le antiche modalità di trasmissione della memoria, e ha distrutto gran parte di quel complesso di esperienze, miti, tecniche, leggende, in poche parole: civiltà, che appartenevano ed identificavano le classi sociali che non si servivano della scrittura. Oggi, pagato il prezzo della ricchezza e raggiunto il benessere, anche la gente comune si è accorta di ciò che è andato perduto, e cresce la domanda, da parte del pubblico dei lettori, per le 'storie di vita'. Di solito, questo rinnovato interesse partecipa allo stesso fenomeno di rivendicazione dell’identità e del ritorno alle tradizioni, che fa prendere coscienza di sé a popoli e regioni di origine contadina.
In definitiva, attraverso le fonti orali e specialmente le biografie si tenta di comprendere, partendo dalle esperienze personali, in quale modo gli individui traducono e mettono in pratica delle regole generali, sociali. Questo tipo di procedimento resta uno dei più efficaci e preziosi per capire come uomini e donne interiorizzano gli obblighi culturali, e come, d’altra parte, si intenda la trasgressione alla regola, argomento principale di questa ricerca. Le testimonianze orali permettono di completare ciò che si è conservato all’interno delle fonti scritte, quando sono disponibili; ma in special modo, consentono di dare voce agli 'ultimi', a quei gruppi che non hanno mai potuto parlare, chiusi nel mutismo imposto dalla marginalità, dalla lontananza, dal disprezzo degli altri, di quelli che erano andati a scuola e sapevano scrivere bene. Fra i vari tipi di componenti sociali marginalizzate dalla 'grande storia', quello femminile è fra i più discriminati, e, al suo interno, l’enclave di cui ci stiamo occupando, le delinquenti, quelle che coscientemente hanno deciso di andare contro la mentalità e la legge del loro tempo, sono personaggi che spesso anche la memoria collettiva ha tentato di cancellare, perché si vergognava di loro.
La raccolta del fieno
In effetti, quando si lavora con le fonti orali, altrettanto importante del discorso che viene articolato, è quello che viene taciuto, o perché non si vuol dire, o perché non si può. Gli esseri umani vivono dentro un ambiente sociale, immersi in norme e comportamenti di cui non si ritiene necessario parlare, perché considerati familiari, 'normali', innati. Ma una società totalmente trasparente a se stessa non è ancora stata creata; non si sfugge alle regole inconsce della cultura, quelle che sono state introiettate con l’educazione, la morale, la religione, per talmente tanti anni che sono diventate atti incoscienti, risposte automatiche, reazioni immediate: 'naturali'.
Esistono dei fatti sociali che sono quasi evanescenti, perché non c’è nessuno che riesce a descriverli, a parlarne: né gli informatori, immersi essi stessi nel proprio retroterra culturale, né i ricercatori, che non dispongono di una sensibilità così acuta, o di strumenti di interpretazione della realtà così raffinati: ma non per questo il loro peso diminuisce; anzi, aumenta nella misura in cui non si riesce a capire pulsioni e sentimenti, a smascherarli e a discuterne apertamente. Basti pensare al mutismo cronico che affligge le categorie più svantaggiate e marginalizzate, i giovani, le donne, i contadini, gli immigrati, gli anziani, gli extralegali. Incapacità, impossibilità di esprimersi, paura di formulare un pensiero proprio, che li costringe ad utilizzare categorie che non appartengono a loro, che sono state create per altri. Spesso, è proprio il non detto che nasconde i bisogni reali, le questioni non risolte, le contraddizioni che sono pronte ad esplodere, i conflitti non dichiarati, che aspettano soltanto di essere innescati da una miccia fabbricata ad arte.
Bisogna annotare e valutare con attenzione, una per una, le non risposte, le indecisioni, le dimenticanze, i cambiamenti improvvisi di argomento e di tono, gli sguardi vacui e inespressivi, gli occhi vuoti che non afferrano la domanda: sono i silenzi che svelano l’anima.
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