La notte
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Storie della notte
... che narrano le avventure dei simboli celesti
di Luca Calabrò
Jorge Luis Borges (foto: kyriakosmauridis.gr)
«Lungo il tempo delle generazioni gli uomini eressero la notte...» Così l’inizio di una poesia di Borges dal titolo «Storia della notte».
La notte che è spazio, intervallo di tempo vuoto di attività, accoglie da sempre inesauribili storie e immagini che la colmano di significati plurimi. È proprio l’affollarsi di immagini, miti, visioni che riempie di senso «lo spazio fra i due crepuscoli» sempre secondo un’immagine di Borges. La notte – mediata da secoli di storie e di simboli - è per noi oggi, prima che una durata temporale, una immagine, un sentimento, quasi uno stato dell’essere. Non stupisce che la mitologia greca con Esiodo la faccia presenza mitica, colma di mistero, inserendola nelle genealogie degli dei che, con il loro succedersi, ordinano e danno significato al tempo. Parlando della notte si parla di una e di molte cose. Ad esempio, il filologo Semerano fa derivare il termine 'mistero' dal sumerico 'mus' = notte intendendo la notte come attesa del manifestarsi di presenze divine.
«Vera croce» - foto 1
Millenni dopo i Sumeri, Piero della Francesca nel celebre «Sogno di Costantino» – episodio del ciclo aretino della «Vera croce» – (foto 1) sembra dare esplicita immagine all'attesa misteriosa nello spazio notturno. L’opera si sviluppa con modalità teatrali e ne è prova l’aprirsi della 'tenda-sipario' sull’imperatore addormentato. Piero mostra l’accampamento scandito con senso della profondità da figure immobili come statue. Il soldato in primo piano sulla sinistra, di spalle e in penombra, rimanda al secondo soldato sulla destra, anch’esso semi illuminato. Le pose sono chiaramente quelle della statuaria: presenze tutelari, laconiche, disposte su piani alternati come quinte teatrali. Queste figure vegliano e introducono i personaggi centrali, l’uomo con la testa appoggiata al braccio e Costantino dormiente.
Lo sguardo dello spettatore segue così l’esplicitarsi dello spazio scenico, ma, a differenza del teatro che è prevalentemente azione e parola, qui tutto è fermo, sospeso nel silenzio. In questo è il gioco emotivo dell’affresco che parla proprio della notte come mistero e rivelazione. Infatti l’unica cosa che incrina la stasi e fa in un certo senso scoccare il tempo è l’apparire dell’angelo in alto che è epifania nello spazio vuoto. L’opera di Piero ha quindi come protagonista non Costantino ma la Notte stessa o uno dei significati di essa è, con richiamo a Borges, una delle storie della notte.
La stessa narrazione pittorica e lo stesso clima emotivo si incontrano in un altro celebre affresco notturno «La liberazione di San Pietro» di Raffaello nelle Stanze Vaticane. Altra 'storia della notte' è anche la Volta stellata sinestesia di diverse percezioni, visiva, temporale e uditiva col silenzio che avvolge e penetra chi osserva.
Le rappresentazioni della costellazioni, dei moti planetari, delle fasi lunari sono diffusissime in tutte le culture. L’arte egiziana, ad esempio, mostra plurime immagini della notte e delle costellazioni. La dea Nut con il suo corpo che è la volta celeste è immagine efficacissima: forma simbolica, sintesi di meccanismi cosmici, inghiotte il sole che durante la notte, invisibile, la attraversa per riapparire la mattina. Questa immagine di Nut è poetica e didascalica insieme: mostra uno dei meccanismi del simbolo, quello della sintesi di molteplici livelli di lettura, estetica, poetica, logica e narrativa.
Tombe o templi egizi - foto 2
Ma le presenze dominanti nel cielo notturno sono le costellazioni e i pianeti che, come i soldati di Piero della Francesca, vegliano sulle vicende umane e sono anche attori e misuratori del tempo. Si manifestano, con o senza Nut, apparendo in varie forme nelle mappe del cielo che sono i soffitti di tombe o templi egizi (Foto 2).
Questa scrittura celeste popolata di punti luminosi come un gioco enigmistico, attrae e interroga da sempre gli uomini. In tutte le culture quei punti luminosi sono stati uniti facendone emergere forme terrestri proiettate nel cielo. La 'cifra dello spazio stellato' è invenzione umana: le costellazioni appaiono nelle forme in cui le vediamo solo dal nostro punto di osservazione, ma sono concrete nel senso più operativo del termine. Operativo in quanto da sempre scandiscono con il loro moto il computo del tempo. Ecco perché nella 'storia della notte' sono attori del dramma, assumono molteplici maschere, appaiono nelle immagini delle civiltà antiche - soprattutto mesopotamiche - per poi riapparire in Grecia e in India e riemergere dopo secoli nel rinascimento.
«Sala dei mesi» - foto 3
Esempi celebri sono le pitture murali della «Sala dei mesi» di palazzo Schifanoia a Ferrara (foto 3). In questa celebre serie si narra l'avventura ciclica del tempo lungo i dodici mesi dell'anno, tempo di corte e della città scandito e dominato da presenze astrali. E la notte parla attraverso i simboli del cielo. Nella sala ognuno dei dodici comparti è diviso verticalmente in tre fasce: quella più in alto celebra il trionfo della divinità che presiede il mese attorniata da figure simboliche. La fascia in basso - in basso perché dominata dagli influssi astrali - narra scene di vita della corte di Borso d'Este e della città durante ogni mese. L'enigmatica fascia centrale, invece, mostra al centro il segno zodiacale sotto il cui influsso si svolge il mese e tre figure identificate come i decani del mese. I decani rimandano all'astrologia egizia e proiettano la profondità temporale in cui appaiono i molteplici personaggi della 'storia della notte'.
Questi demoni del tempo, provenienti dall'antichità, hanno viaggiato ibridandosi attraverso varie culture: parlano muti dalle pareti ferraresi narrando l'avventura dei simboli celesti nella storia. Ad esempio, il mese di Marzo presieduto da Minerva, la divinità sul carro trainato da due unicorni siede avendo alla sua sinistra la scena del lavoro operoso di un gruppo di tessitrici e alla destra dei dotti che discutono. La fascia centrale mostra al centro l'Ariete e a sinistra una figura particolare, il celebre vir niger. Gli occhi rossi, vestito di un abito lacero tenuto da un cordone, questo demone astrale ha assunto varie maschere nelle plurime interpretazioni che ne sono state date. Aby Warburg, in un suo celebre scritto, lo legge come Perseo che transitato nei secoli dalla Grecia all'India, riapparendo nel Medio Evo, tramite gli Arabi, si materializza, mutato in forme inquietanti nelle Sale della corte estense.
Le maschere del teatro notturno si moltiplicano. L'autore di questo scomparto è Francesco del Cossa, esponente di quell’Officina ferrarese che ha lavorato nel cantiere di Schifanoia. Lo stile particolare di questa scuola mostra una tensione geometrizzante delle forme dure e cristalline delle figure e dei paesaggi, contribuendo al sentimento metafisico di enigmatica astrazione con cui ci parlano anche queste presenze astrali.
La narrazione infinita della notte offre dunque molteplici manifestazioni: è come ancora ci mostra Borges veglia, sonno, sogno e incubo. Il 'teatro letterario' di Borges ha spesso tra i suoi attori il sogno: sogno e notte sono chiavi dell'esistenza. Borges gioca spesso sull'ambiguità fra realtà diurna e sogno, facendo della realtà onirica la vera esistenza perché più libera di quella coatta del giorno. «La notte ci libera dal più grande dei dolori la prolissità del reale», dice. Ancora nella poesia «Metafore delle Mille e una notte» la trama dei racconti notturni è quella del tempo che la notte contribuisce a scandire. Il sogno come stato di coscienza alternativa quindi segna il tempo e influisce su di esso.
Il Mito, secondo l'archeologo Carandini, ha la struttura del sogno e quindi la sua logica alternativa ma esatta e il mito nelle società tradizionali struttura anche il tempo diurno: la notte, quindi, inesauribile esonda nello stato di veglia. La notte che contempliamo oggi reca le immagini e le suggestioni di tutte le notti 'edificate' dalle generazioni passate attraverso miti, visioni e storie. Ma la sinestesia notturna comprende anche i suoni.
Vorrei allora concludere con i suoni notturni che animano il brano sinfonico «Allegoria della Notte», composto da quello che è con più di cinquant'anni di ricchissima carriera, forse il più importante compositore vivente, Salvatore Sciarrino. «Allegoria della notte» è scritto per violino e orchestra. L'inizio del brano è citazione letterale del concerto per violino di Mendelssohn, ma le poche battute di natura diurna e solare si disgregano subito in una atmosfera misteriosa, sospesa, di tempo 'altro'. L'orizzonte sonoro indefinito è creato dalle vibrazioni di una grande lastra di acciaio: sopra questo sfondo fluttuante, trilli, arpeggi e pulviscoli sonori tratteggiano un paesaggio quasi impressionistico. Il violino solista emerge con suoni armonici acutissimi che sono una vera e propria invenzione sciarriniana: alcuni dei suoni raggiungono frequenze acute che mai prima di Sciarrino erano comparse nel pentagramma del violino. Si apre così un mondo di ascolto purificato dal frastuono diurno, un mondo di silenzio di cui questa «Allegoria della Notte» è una materializzazione, un ennesimo enigmatico volto della lunghissima 'Storia della Notte' non ancora finita.