La bellezza
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Il bello artistico come Symballein
Brevi considerazioni su classico e moderno
“Bello è ciò che deriva da una necessità psichica interiore. Bello è ciò che è interiormente bello”.
V. Kandinskij
L’eidos è interno (èndon) e si fa icona (eikos) della realtà invisibile attraverso il medium delle arti che promuovendo una prototipizzazione dell’arché disvelano e (ri)velano allo sguardo il mistero ontologico: plotiniano simbolo unitivo della bellezza artistica con il Bello originario.
La cecità iconoclasta non è solo storia medioevale, la ritroviamo oggi sotto le spoglie paradossali e perniciose di un’inflazione immaginifica il cui portato assiologico equivale all’arbitraria inconsistenza del tutto categoriale e derealizzante dell’oikos nomos. Di una simbolica dionigiana così ben evidenziata dall’elevazione “alla contemplazione del divino tramite immagini visibili”1, temo però bisognerà riparlarne in un’epoca più disposta a un ricoeuriano agàpico riconoscimento2, anche se riconcettualizzato e collocato in primis in una coscienza capace di individuarsi come teandrica e terapeutica.
Klee - SquaresDal punto di vista del significato gnoseologico dell’arte, giova ricostruire la direzione che da Plotino3, passando per Damasceno4, conduce a Goethe5 e, saltando passaggi anche importanti, a Klein6: una noesi di modello il cui sigillo è il segno di una somiglianza dissimile e il cui paradigma è l’icona. Le diverse poetiche, ad esempio, di Malevič, di Klein e di Klee, sul piano della teoresi sono però assimilabili in una autoreferenzialità iconica. La ritroviamo “al di là dello zero della creazione” come dice Malevič, o nei pagamenti in oro, prontamente versati nella Senna, delle “zone di sensibilità pittorica immateriali” di Klein, oppure ancora nell’opera di Klee che “si dispiega nei giochi di riflessi infiniti dell’immanenza, in un dinamismo immobile, movimento eternamente raddoppiato che va e viene dall’origine al creato, dalla preistoria alla storia, dal primordiale all’ultimo, dall’informale al formulato, dalla matrice al modello”.
Le tangenze silenti di un’appropriazione di virtù oracolari, rendono sibilline le opere dal ‘segreto manifesto’ in cui l’estetica muove incontro dissolvendo e restituendo l’entelechìa, sempre priva di pregiudiziali. Tutto si svolge nella dicotomia assenza/presenza che recupera e attualizza lo spirito ecumenico di maestri iconici di portata universale – Andrej Rubëlv anzitutto –, vincendo le tenebre mefistofeliche e la luce di phosphoros-diaballein, in sintonia con l’esicasta perfettamente concentrato nell’onfaloscopìa.
Kazimir Malevich - Cross large cross in black over red on white 1920Il filo d’oro di una classicità che si fa moderna e contemporanea, risvegliata nella modernità da Nietzsche, va ravvisato in un eros capace anche di farsi àgape, ovviando alle patologie devianti e incontrando la non dualità – come Giorgio Colli ci ha insegnato a pensare7 – di Apollo-Dioniso nel simbolo platonico e cristiano della Croce.
Un nuovo Rinascimento potrà sorgere da una taborica trasfigurazione della coscienza che così rischiarata sarà auto-germinativa e feconda di un Bello morale e vero. Le topiche della coscienza moderna, astratte e cieche, ancora ristrette in un angusto alveo categoriale freudiano e post-freudiano, non possono trovare la via verso la Vergine nera che pur essendo visibile rimane enigmatica e che nulla di alchemico (nigredo) sembra loro suggerire, passaggio invece fondamentale verso una ipseità stabilizzata e produttrice di ri-nascimenti.
Icona, quindi, come porta regale, secondo le avvedute parole di Florenskij8, verso l’invisibile che si fa presentazione e non rappresentazione mimetica. A ragione Platone considerava le arti come mimesis9, copie di copie, rappresentazioni insignificanti di un sensibile già in sé copia del mondo delle idee. Soltanto il percorso classico e moderno di Faust, quando nell’artista si fa corpo di esperienza, scioglie il nodo platonico perché la poiesis artistica diventa non mera e insignificante rappresentazione, ma intrinseca forza metamorfica che, invisibile, trasfigura l’apparenza e presenta, attraverso la stratificazione di senso, la simbolica ricomposizione nell’icona del sensibile con il sovrasensibile Regno delle Madri10.
Egidio Missarelli - Paesaggio dell'anima
Con Schelling, nel solco di Goethe, possiamo dire che l’arte va intesa come costruzione di una mitopoiesi organica in cui “il concetto infinito è legato all’oggetto stesso, l’universale è interamente il particolare, e il particolare è l’universale” o, detto in altro modo, che l’universale e il particolare sono “assolutamente una cosa sola”, a cui fa eco Baudelaire quando scrive che la modernità “è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile”11.
1 Dionigi Areopagita, De ecclesiae hierarchia
2 Paul Ricoeur, Percorsi del riconoscimento
3 Plotino, Enneadi, V e VI libro
4 Giovanni Damasceno, Oratio I
5 Johann Wolfgang Goethe, Scritti sull’arte e sulla letteratura
6 Yves Klein, Verso l’immateriale dell’arte
7 Giorgio Colli, La sapienza greca I
8 Pavel Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona
9 Platone, Repubblica, X
10 Troviamo il concetto di Madri anche in Plutarco, Marcellus, cap. 31
11 F. W. J. Schelling, Filosofia dell’arte