Il futuro
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Visioni giovani del futuro
di Veronica Guglielmana, Veronica Guglielmana e Cassandra Mevio-Gilbert
di Chiara Caravello
Sono tornata a casa dei miei genitori qualche giorno fa, per riprendere un paio di libri dimenticati nella mia vecchia stanza. Sono entrata decisa, diretta verso la libreria. Ho sempre tenuto i miei testi preferiti nello scaffale più alto, ben in vista.
Non volevo correre il rischio di dimenticare, crescendo, l'enorme potenziale dei libri, tutto quello che erano riusciti a trasmettermi, il tesoro che avrebbero per sempre custodito. Né più né meno di un tempo la polvere sui ripiani, potrei essere ancora qui a dormire questa notte, niente intorno a me suggerisce che io non abiti più questa camera. Ma da questi oggetti non mi sento circondata, né colpita dall'esterno, ogni biglietto o foto appiccicati sui muri e sugli anni trascorsi qui, sono parte di me, non per abitudine, o forse sì. Inciampo fisicamente sul passato, rotolo un po' sul corso della mia esistenza e stanca mi accascio sul puff fucsia, padre delle mie ventenni riflessioni e riposini pomeridiani. Ronza un po' lo sguardo per poi posarsi, come sempre, sui vetri. Aggrapparsi agli infissi della finestra e sporgersi quanto più possibile.
Godere del calore di un luogo chiuso e familiare, immaginando un oltre ancora invisibile. Per quante vittorie o sconfitte si possano realizzare nel tempo, infinito è il punteggio da raggiungere e la cima un po' erosa e un po' scalata della montagna lì fuori si mantiene intatta nel suo aspetto. Vorrei abbandonarmi qui, passare ore a pensare fissando ancora quella vetta. Oggi mi sento reduce da una di quelle gare amatoriali che si corrono in posti magnifici, dove nessuno però ha tempo di ammirare il paesaggio. Lo scenario serve solo per allietare la corsa o per renderla a tratti più dura. Chi contempla, chi assapora, chi ammira, inevitabilmente si ferma, greggi di uomini gli passano accanto sfrecciando su per la salita. Ma non esiste un senso unico per arrivare in alto, per elevarsi. Oggi mi sento un caccia e, tra una missione e l'altra, sogno di essere un biplano.
di Veronica Guglielmana
La trasformazione sarebbe dovuta avvenire a breve. Mancava solo un giorno al mio diciottesimo compleanno e tutti si aspettavano di vedere la mia metamorfosi ultimata. Avrei finalmente fatto parte anch'io della famiglia. Ho detto "sarei" e non "sono", perché non è andato tutto secondo i piani, anzi praticamente nulla è andata come previsto. Mi sarei dovuta trasformare in un demone e invece sono più umana che mai. Avrei dovuto cominciare ad odiare e invece ho scoperto la bellezza dell'amore. Insomma, sono un errore di fabbrica. Un terribile errore, avevo sentito dire dai miei genitori. I demoni sono creature della notte, rubano agli uomini la loro felicità e i loro sogni, seminando scie di paura e angoscia. Hanno ali nere color carbone, capelli e occhi nero pece. Anche la loro anima (se ne hanno una) è nera. Io ero destinata a diventare una di loro, come i miei genitori, come mia sorella. Ma la mattina del mio compleanno mi svegliai con i soliti capelli color grano e con i miei assonnati occhi grigi di sempre. Forse stavo ancora sognando e presto mi sarei risvegliata con un paio di ali corvine e tutto sarebbe andato come doveva andare.
Provai a darmi un pizzicotto sul braccio e... AHI! Ero sveglia. Mi sollevai la maglietta e, guardandomi allo specchio, notai una strana scritta sulla schiena. La sera prima non c'era e non era stata fatta con un pennarello; era un tatuaggio! Tre parole scritte con una calligrafia delicata ed elegante mi scorrevano da una scapola all'altra, proprio nel punto in cui mi sarebbero dovute spuntare le ali. Amor vincit omnia. In quell'istante mi parve tutto così chiaro: c'era qualcosa di più forte di tutto, persino della magia oscura. L'amore. Mi tornarono in mente tutte le rose bianche che ogni mattina mi attendevano sul davanzale della finestra e quel sorriso che si spalancava solo per me ogni giorno a scuola. Come avevo potuto non arrivarci prima? Lui mi amava e con il suo amore mi aveva salvata: sarei rimasta per sempre me stessa.
di Cassandra Mevio-Gilbert
Ci fu per me un tempo, in cui il futuro non esisteva. Non saprei in realtà definire con esattezza quando questo concetto sia entrato effettivamente nella mia vita. Per un bambino è una definizione aliena, qualcosa di veramente distante finché di colpo, forse all'improvviso, non viene a contatto con il fluire del tempo afferrandolo con candore. Adesso il futuro è ancor più indefinibile di prima. Ineluttabile, lontano, incorporeo, opprimente. Mi è tuttavia sempre impossibile comprenderlo concretamente, poter affermare: il futuro è. Per chi non ha ancora vissuto abbastanza a lungo è un'impresa incredibilmente ardua anche solo dipingere mentalmente un paesaggio che abbia la benché minima parvenza di futuro. Un ragazzo, come me, come voi, lo insegue lentamente, aspettando vagamente. Mi vedo proiettata in una dimensione analoga a quella presente, ma inspiegabilmente diversa. Un miraggio riflesso di ciò che potrebbe essere migliore, ma anche peggiore. È una corsa fermatasi di fronte a un ostacolo, un vero mistero, enigmatico quanto il destino.
I pensieri fluttuano liberi davanti ai miei occhi, appartengono a tutti e non esistono segreti, così come le percezioni sono svanite nel nulla. È una serena utopia coronata da una giovinezza eterna, un banale vaneggiamento sedicenne. Guardandomi non mi riconosco perché non possiedo quel futuro, astratto e irraggiungibile. Tuttavia sento di aver abbandonato il presente camminando su un sentiero trapuntato di foglie simili a illusioni pittoresche. Sono ancora io, ma qualcun altro: adulto. Ecco l'avvenire di un giovane infrangersi. Quando non esisteva il futuro sognavo di conquistarlo, strapparlo dalle mani dell'alba affinché diventasse mio, mentre ora mi sembra semplicemente di crescere. Ormai la situazione è sfuggita al mio controllo infantile. Guardo chi affronta l'attesa assieme a me, priva delle desiderate risposte tangibili. Intanto aspetto il futuro, mentre mi sfugge, e tutto continua a scorrere verso di lui.