La canzone del secolo

Questo piccolo grande amore

di Franco Ferramini - SECONDA PARTE

baglioni oggi

Claudio Baglioni, 1951 (foto: La Repubblica)

Con il brano Mia libertà, Baglioni rimpiange la libertà perduta con il coinvolgimento nell’amore. Si rivolge alla sua libertà ormai persa, alla «prima volta che scappai da casa mia, e le mie pazze corse in moto per la via».

Nella sua semplicità un testo per niente banale, «libertà tra noi c’è un vetro, e la colpa è solo mia». Fino alla settima canzone che chiude il lato A del disco La prima volta: una musica fatta di sospiri, un testo che descrive esplicitamente il primo rapporto sessuale dei due ragazzi. Senza la volgarità gratuita dei testi di alcuni 'trapper' odierni, mica male il realismo del giovane Claudio su certi argomenti.

Certo Je t’aime… moi non plus di Jane Birkin e Serge Gainsbourg era stato pubblicato solo tre anni prima, nel 1969, e in confronto all’erotismo quasi pornografico di quel pezzo la canzone di Claudio fu quasi da educande. Passiamo al lato B del long-playing, che inizia con Quel giorno, che unirei concettualmente col suo secondo brano, Io ti prendo come mia sposa. I due ragazzi entrano in una chiesa, «Che silenzio qui dentro, quanto tempo che non metto più piede in chiesa, Dio è proprio da tanto che non vado d’accordo con te» così inizia la prima canzone di questa parte del disco, quasi a confutare un Claudio Baglioni visto come un cantautore oratoriano, quasi da boy-scout, perché lui «è da tanto che non va d’accordo con Dio».

 

 

Ma per amore il nostro ragazzo si converte e sognerà «Io ti prendo come mia sposa davanti a Dio e ai verdi prati, ai mattini colmi di nebbia, ai marciapiedi addormentati, alle fresche sere d’estate, a un grande fuoco sempre acceso, alle foglie gialle d’autunno, al vento che non ha riposo, alla luna bianca signora, al mare quieto della sera. Io ti prendo come mia sposa davanti ai campi di mimose, agli abeti bianchi di neve, ai tetti delle vecchie case, ad un cielo chiaro e sereno, al sole strano dei tramonti, all’odore buono del fieno, all’acqua pazza dei torrenti. Io ti prendo come mia sposa davanti a Dio». Così Andrea sognerà di sposare Giulia, se li vogliamo chiamare come i protagonisti del film, in una visione panteistica dell’amore e del matrimonio che rimarrà però solo un desiderio non realizzato. Perché «durò un mese, finché un mattino venne il postino, cartolina rosa. Stazione Termini, parenti e amici, saluti e baci, e sola da una parte. E dirle solo qualche scemenza, torno in licenza…».

Quanti amori giovanili sono finiti, anche relazioni pluriennali, quando i ragazzi come in quegli anni dovevano partire per il servizio di leva? Era un trauma vero e proprio, certo nulla per chi nel mondo deve partire oggi per il militare sapendo che non va in guerra 'per finta', ma per davvero. Dopo Cartolina rosa, che finirà con uno dei notevoli stacchi orchestrali del disco, partirà l’introduzione di piano della 'canzone del secolo', che darà il titolo all’album, dalla quale posso risparmiarmi di estrarre altre citazioni dal testo oltre quella con cui si apre questo articolo, talmente famose sono le parole di questo brano.

 

 

Questo piccolo grande amore sarà una canzone dal successo stratosferico che però va vista nel contesto del suo 'concept-album': lui è militare e nello struggente testo ricorda il suo grande amore che ha dovuto abbandonare per forza, costretto dall’intreccio tra Stato e Guerra che doveva per forza far imbracciare un fucile e sparare almeno una volta tutta la popolazione maschile della Nazione, sempre pronti al richiamo della Patria. A posteriori un anno e più di vita perso, anche se viviamo tempi in cui qualcuno 'che conta' vorrebbe ripristinare il servizio di leva. Forse a qualche ragazzo può fare bene, o forse no. Boh.

Bando alle divagazioni, torniamo al disco. In Porta Portese Andrea si accorgerà che la sua bella non è poi quella «madonnina fedele per la vita» che lui si era figurato nei suoi sogni da militare. Giulia si è trovata un altro ragazzo «quella lì non è possibile che è lei insieme a un altro, non è certo suo fratello quello, e se l’è scelto proprio bello, ci son cascato come un pollo io». Qui parte il dramma dell’amore finito, che quando si vive a quell’età è veramente un trauma più o meno dilatato nel tempo, generalmente diluito poi nel vortice delle cose che si vivranno nel futuro sempre inevitabilmente incerto di un giovane.

In Quanto ti voglio questa sofferenza si esprime tutta; il protagonista dopo la visita al mercatino di Porta Portese in cui era stato «per comprarsi dei blue-jeans al posto di questa divisa, che stasera poi le faccio una sorpresa» arriva a casa e «rivede in un attimo un bar, una strada, una chiesa». »Ciao soldato, sulla porta mia madre felice mi ha già salutato, non le ho neanche chiesto stai bene e davanti le sono passato, Dio che sei diventato, mamma lasciami stare da solo…». Testi di una fresca spontaneità che raccontano come in un romanzo rosa la vicenda di questi due ragazzi romani, di un grande amore giovanile iniziato e finito in poco tempo, con la disperazione del protagonista che reciterà «io ti voglio, quanto ti voglio…io ti odio quanto ti odio…ma perché sei tanto bella, perché non scompari, perché non ti uccidi…».

 

 

E siamo all’ultima canzone, Sembra il primo giorno, in cui i due si incontrano ancora ma «non lo so come è stato però non c’è verso, tutto quello che è stato lo abbiamo già perso». L’ultima canzone per l’ultimo incontro, nella malinconia delle vie di Roma quasi ostile a questo punto, a suggellare una relazione finita in breve tempo così come è iniziata, il tempo dei 52 minuti dell’album, a condensare pochissimi mesi vissuti uno nei pensieri dell’altro dai due ragazzi. «E lasciarci lì in strada come due cretini, con quell’ultimo bacio e una stretta di mani». Per finire questo notevole lavoro del ventunenne Claudio Baglioni un evocativo brano orchestrale, bello come tutte le musiche del 33 giri.

Un lavoro comunque ben fatto, una sorta di educazione sentimentale per tutti i giovani dell’epoca (e potrebbe essere anche dei tempi odierni), nella semplicità e immediatezza dei testi e nella possibile e facile identificazione nella storia e nei personaggi che sviluppano la vicenda. Per chi non lo avesse mai ascoltato nella sua interezza, da consigliarne l’ascolto completo, se non altro per collocare la 'canzone del secolo', Questo piccolo grande amore, nel suo contesto originario. Per molti tutto il disco è vita vissuta; non vorrei scomodare a sproposito l’immenso Pablo Neruda, ma visto il suo grande amore per «l’amore» posso dirlo anche io: «Confesso che ho vissuto» anche io praticamente tutte le vicende narrate in Questo piccolo grande amore.

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