Le parole sono importanti

Breve riflessione sulle parole nella musica leggera

di Franco Ferramini

mina e alberto lupo

«Parole, parole», cantata da Mina con Alberto Lupo

Nel film «Palombella rossa» di Nanni Moretti del 1989 famoso è il dialogo del protagonista Michele Apicella, funzionario del PCI in crisi d’identità, con una giovane giornalista.

Alla fine della sequenza, dopo una serie di domande poste dall’intervistatrice usando termini come «matrimonio a pezzi», «kitsch», «alle prime armi», quando lei afferma «il mio ambiente è molto cheap» parte una prima sberla da parte del sempre più esasperato Apicella replicata da una seconda sull’altra guancia all’affermazione «lei è fuori di testa». La scena si conclude con un inviperito Michele Apicella/Nanni Moretti che urla «ma come parlaaa… come parlaaa… le parole sono importanti… come parlaaa !». Certo, le parole sono importanti, «Le parole sono pietre», recita il titolo di un libro di Carlo Levi, a testimoniare che la forza delle parole di tutto il mondo si può concentrare però in una sola parola: «amore». Di amore i testi della musica leggera ne sono intrisi.

Era il 2001 quando una sconosciuta Valeria Rossi inondava le radio e le classifiche con la sua canzoncina e la sua vocina nel brano «Tre parole», «… dammi tre parole, sole cuore e amore, dammi un bacio che non fa parlare, è l’amore che ti vuole, prendere o lasciare, stavolta non farlo scappare…». Perdonatemi quello che può apparire, da Nanni Moretti, Carlo Levi, a Valeria Rossi, un salto da palo in frasca, ma volevo far risaltare il mistero effimero della popolarità, quanto cioè le parole possano scolpire le menti o svanire velocemente nel nulla; come il successo di quella canzone e di quella cantante, tormentone durato il breve periodo dell’estate di quell’anno.

 

 

C’è una canzone e un testo semplice (ma complesso), una parola, «Volare», che più di tante altre può rappresentare un’epoca. Era il periodo in cui gli italiani cominciavano a riprendere fiducia nel futuro dopo le macerie fisiche e psicologiche della guerra, con un dopoguerra in cui il paese si era dovuto immergere pienamente nella ricostruzione; ricostruire vuol dire comunque prendere atto della distruzione, toccando con mano l’orrendo strascico di morte e devastazione totale che tutte le guerre si portano con sé: il titolo della canzone è «Nel blu dipinto di blu», di Migliacci-Modugno del 1958, meglio conosciuta come «Volare». Iniziava allora il 'boom economico' e la gente ricominciava a sperare dopo il buio del secondo conflitto mondiale; felice di essere nato in quell’anno, in cui forse ho ricevuto un 'imprinting' di buone aspettative, fiducia e illusioni di buoni eventi per il mondo. In quei giorni a cavallo tra gennaio e febbraio, vedere e sentire Domenico Modugno a braccia aperte (come si può notare anche nel monumento a lui dedicato nella città pugliese di Polignano, sua città natale) fu un vero simbolo di rinascita per gli italiani. Anche se qualcuno interpreta, a mio parere non correttamente, il testo della canzone come un desiderio di farla finita. Vale la pena di riportare almeno l’inizio del testo di quello che gli autori più volte hanno definito come la storia di un sogno: «Penso che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi d’improvviso venivo dal cielo rapito e incominciavo a volare nel cielo infinito. Volare oh oh, cantare oh oh, nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù. E volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù, una musica dolce suonava soltanto per me…». Ognuno dei due protagonisti ebbe la sua versione sull’ispirazione di quelle parole: Modugno diceva che il testo gli era venuto in mente una mattina osservando con la moglie Franca Gandolfi il cielo azzurro dalla finestra della sua casa romana, Migliacci invece affermava che l’idea era venuta a lui, osservando il quadro «Le coq rouge dans la nuit» di Marc Chagall. Comunque sia come tutti sanno quella canzone fu ed è tuttora un enorme successo internazionale, quasi un secondo inno nazionale, ma è contraddistinta inequivocabilmente da una e una sola parola: «Volare».

 

 

Ritorno con un altro paragone che può apparire azzardato, ma a mio parere non troppo. Il Festival di Sanremo 2020 si è tenuto, come fosse un ultimo baluardo di spensieratezza, pochissimi giorni prima dell’esplosione della pandemia di Covid-19 in Italia e nel Mondo. Fu vinto da un giovane e bravo cantautore pugliese, Antonio Diodato col suo brano «Fai rumore». Anche qui un testo con parole che, durante le restrizioni di quei giorni, con il distanziamento sociale obbligato, tutti noi costretti a casa e le strade deserte e silenziose, si sono rivelate quasi profetiche. «…che fai rumore qui, e non lo so se mi fa bene, se il tuo rumore mi conviene, ma fai rumore, sì, che non lo posso sopportare, questo silenzio innaturale tra me e te…». Anche questa canzone, sempre cantata da un cantautore pugliese, può rappresentare perfettamente un periodo: quelle parole del ritornello «fai rumore» richiamano alla mente quei giorni, che oggi sembrano già lontani e assurdi, con gli attuali tristi echi di guerre incombenti. Il mondo si fermò, e quell’immagine di Diodato pochi mesi dopo che canta questa canzone in una Arena di Verona illuminata e deserta per un Eurovision Song Contest particolare fatto di soli video registrati, col suo grido e i suoi eleganti movimenti, rappresenta una delle più forti e rappresentative immagini della musica leggera di ogni tempo.

 

 

Le braccia aperte di «Volare» e il grido di «Fai rumore» nell’Arena deserta testimoniano più di miliardi di altre parole due periodi importanti della nostra storia recente. Quando si parla di parole in musica come dimenticare i cantautori e i parolieri, sorta di riedizione degli antichi 'troubadours' provenzali; ma per non tralasciare nessuno di questi si dovrebbe scrivere uno o più libri, non lo spazio di questa breve riflessione. Dal capolavoro di Ivano Fossati «Una notte in  Italia» del 1986 cito solo queste parole, da tutto quel meraviglioso testo: «…è una notte in Italia che vedi, questo darsi da fare, questa musica leggera, così leggera che ci fa sognare, questo vento che sa di lontano, e che ci prende la testa, il vino bevuto e pagato da soli, alla nostra festa…» e poi «…è tutta musica leggera, ma come vedi la dobbiamo cantare, è tutta musica leggera, ma la dobbiamo imparare…».

 

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