Donna, tutto si fa per te

Breve viaggio nel mondo della canzone e dei cantautori

di Franco Ferramini

fabrizio de andre e il suo immortale senso della liberta assoluta

Fabrizio De André

Sono tantissime le eccellenti strumentiste nel mondo della musica, infinite le cantanti di vario talento; poche, rispetto agli uomini, le compositrici.

La donna ha sempre vissuto nella musica, come del resto in tutto l’ambito sociale, una propria dimensione particolare, si potrebbe definire “di genere”. Esiste però un aspetto che è specifico della donna in tutte le arti, quello di “musa ispiratrice”. Dai trovatori medioevali, all’origine della lingua italiana, facciamo un salto di qualche secolo e arriviamo a noi. La forma canzone è un aspetto tipico della musica dei nostri tempi, e c’è chi abilmente scrive testi, chi li canta, chi ne scrive la musica. Esistono poi quelli che scrivono testi ai limiti, o pari, alla poesia. Testi abbinati a buone musiche, e se li cantano da soli. Numerosissime sono le canzoni di costoro dedicate a donne. Il titolo di questo articolo in realtà si rifà ad una canzone che cantava il Quartetto Cetra nel 1959, “Donna”, autore il mitico Gorni Kramer, insieme a Garinei-Giovannini. Vi consiglio di andare a sentirvela, oltre che un piacere per le orecchie per la perfetta sintonia di voci, il testo è un vero e proprio ironico e semplicissimo, ma non banale, manifesto di poetica musicale sulla donna.

Tra i cantautori italiani ce n’è uno che ha scritto diverse canzoni su personaggi femminili, tutte belle, qualcuna dissacrante, qualcuna dolce, sempre accompagnato da un eccellente tappeto musicale. Edoardo Bennato, nato a Napoli il 23 luglio 1946, grande cantautore e ottimo musicista, scrisse una canzone che sarà il filo conduttore di queste righe. “La fata”, contenuta nell’album “Burattino senza fili” del 1977, ha un testo che racconta diverse sfaccettature dell’universo donna: “…sorella, madre o sposa, regina o fata…”.
«C’è solo un fiore in quella stanza, e tu ti muovi con pazienza, la medicina è amara ma, tu già lo sai che la berrà. Se non si arrende, tu lo tenti, e sciogli il nodo dei tuoi fianchi, che quel vestito scopre già, chi coglie il fiore impazzirà». La canzone inizia così, rappresentando l’aspetto della donna ammaliatrice, di colei che ha ben preciso il piano per dominare l’uomo, usando armi inequivocabili, una guerra spesso impari e con un verdetto scontato. Il perfetto contrario della famosissima “Bella senz’anima” di Riccardo Cocciante, in cui il protagonista maschile ferito rifiuta con forza le virtù di lei o della storia particolare nella “Signora bionda dei ciliegi” di Ivan Graziani, in cui si racconta con nostalgia a forte effetto evocativo di una signora «tanto più grande di me» della gioventù del cantautore teramano. In “Ci sei riuscita” lo stesso Bennato si rivolge a una lei dicendole «Ci sei riuscita, più problemi non hai, e forse è anche giusto, per quello che dai... ora rispetta i tuoi riti sprecati, e compi evoluzioni tra gli invitati… un fiore rosso, in cambio di te, ma per quei tuoi fianchi, un prezzo non c’è…». Immagine di un’arrampicatrice sociale a tutti i costi, fotocopia di qualche donna entrata in politica qualche anno fa o di qualche rappresentante del “gentil sesso” di cui purtroppo è pieno il mondo. Modello di donna nettamente avversato da Roberto Vecchioni nella sua “Voglio una donna”, in cui lui dice “«Voglio una donna, donna, donna con la gonna…che si innamori di te quella che fa carriera…» e via di seguito una casistica di donne, dalla “barricadera” alla “signorina Rambo”. Un testo spassoso e ironico, che qualche spirito “illuminato” ha definito sessista. In realtà scrivere una canzone di quel tipo manifesta un grande rispetto per la donna, spesso incasellata a forza in ruoli in cui necessariamente è costretta a fare l’uomo, “Stronza come un uomo” canta Vecchioni.

Torniamo alla nostra canzone di Edoardo Bennato, che così prosegue: «Farà per te qualunque cosa, e tu, sorella, e madre, e sposa, e tu regina o fata, tu, non puoi pretendere di più». Qui la donna è sul trono, coccolata dall’uomo a patto che rimanga nei ruoli che la società le ha assegnato, senza sgarrare. La prigione più o meno dorata in cui le “fate” di questo mondo sono costrette a condurre la propria esistenza, cosa vogliono pretendere di più? Ecco il ruolo di madre, importantissimo nella canzone italiana. «Mamma, solo per te la mia canzone vola, mamma, sarai con me tu non sarai più sola…» cantava Luciano Tajoli in questa canzone di Bixio-Cherubini del lontano 1941.

In tempi più recenti, il nostro Bennato cantava «Viva la mamma, affezionata a quella gonna un po’ lunga, così elegantemente anni cinquanta, sempre così sincera, viva la mamma, viva le donne con i piedi per terra, le sorridenti miss del dopoguerra, pettinate come lei...». Madre che può essere autoritaria, nel Venditti di «Mio padre ha un buco in gola», che recita «Mia madre è professoressa, o meglio, una professoressa madre, ha dato sempre quattro, anche se mi voleva bene». Dello stesso Venditti, la bellissima e struggente “Lacrime di pioggia”, dedicata ai genitori che non ci sono più, in cui l’ombra del padre chiede al figlio «Tutto l’amore che hai per me ridallo al cuore di tua madre…».
Nel 1992 vincerà il Festival di Sanremo “Portami a ballare” di Luca Barbarossa, in cui il figlio chiede alla madre di portarlo a ballare «uno di quei balli antichi che nessuno sa fare più, sciogli i tuoi capelli, lasciali volare… parlami di te, di quello che facevi, se era questa la vita che volevi… dai mamma dai, questa sera fuggiamo via, è tanto che non stiamo insieme, non è certo colpa tua…». In “Vorrei essere tua madre” Roberto Vecchioni dice «Per amarti senza amare prima me, vorrei essere tua madre…» in cui l’ autore vorrebbe amare la propria donna come questa è amata dalla madre, rappresentazione dell’amore materno come un sentimento spurio da passioni, privo di altre complicazioni del cuore.
Per finire con la madre religiosa, rappresentata da Fabrizio De André nella sua “Ave Maria”, tratta dall’album capolavoro “La buona novella”. «Ave o Maria, adesso che sei donna, ave alle donne come te, Maria, femmine un giorno per un nuovo amore, povero o ricco, umile o Messia, femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente».

La donna spesso è “regina” nelle canzoni. Il Cocciante della delicata “Margherita” ci dice «Poi corriamo per le strade, e mettiamoci a ballare, perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore, e poi coi secchi di vernice, coloriamo tutti i muri, case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori… poi saliamo su nel cielo, e prendiamole una stella, perché Margherita è buona, perché Margherita è bella…». Tutto si fa, anche l’impossibile, per la Regina buona e bella.
Nel 1976 Loredana Bertè iniziò a cantare “Sei bellissima” di Daiano-Felisatti. »Sei bellissimaaa… accecato d’amore, mi stava a guardare…». Anna è il nome di tante regine nella storia, ed è anche la disperata invocazione di Lucio Battisti nella sua canzone: “Anna, voglio Aannaaa!...”. Dello stesso Lucio, nel suo ultimo periodo creativo, con la collaborazione del paroliere Pasquale Panella, “La sposa occidentale”. Una serie di surreali omaggi nei confronti di una lei, tipo «Ti piacciono i dolci? E io sul tuo terrazzo impianto un'impastatrice industriale che mescola e sciorina la crema per le scale… se tu ti vesti, io sul tuo balcone faccio calare in forma di indumenti tutti i paracadute ed un tendone bianco da sceicco, e la sua scimitarra per fermaglio…» una serie di regali surreali che comprende anche un treno, se lei vuole viaggiare, reso più comodo e più veloce spostando i binari in discesa. “Donna, cosa si fa per te”, appunto, fino all’anacronismo. “Patrizia” di Eugenio Finardi è forse la più bella canzone che si possa dedicare alla propria compagna di vita: «Io ti amo per come mi ami tu… amo il tuo sapore di fragole e di panna… occhi che non san nasconder niente, nemmeno quanto tu sia intelligente… ti amo perché giochi tutti i ruoli, ma ne ami uno solo, quello di donna vicino al suo uomo…» dice il cantautore milanese.

Torniamo però al poeta De André, che nella sua “Marcia Nuziale”, regala un vero e proprio quadro in musica, rappresentando un matrimonio campestre. Durante la cerimonia ci sarà qualche piccolo inconveniente «Ed io non scorderò mai la sposa in pianto, cullava come un bimbo i suoi fiori di campo, ed io per consolarla, io con la gola tesa, suonavo la mia armonica come un organo di chiesa…».
La rappresentazione di una donna a metà tra una regina e una fata è tutta nella “Donna Cannone” di Francesco De Gregori: «Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno, giuro che lo farò, e oltre l’azzurro della tenda, nell’azzurro io volerò… e in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà… e con le mani, amore, per le mani ti prenderò, e senza dire parole nel mio cuore ti porterò, e non avrò paura se non sarò bella come vuoi tu…», un personaggio tratteggiato nella fantasia estrema e sognante, quasi come in un quadro di Chagall. Della donna intesa come sorella, dalla canzone “leitmotiv” di queste righe, nel mondo della canzone non si trova traccia. Al lettore la sfida di scovarla, se esiste. Ci sono canzoni sulle figlie però, le cito e basta, “Figlia” di Roberto Vecchioni, stupenda, “Un giorno mi dirai” degli Stadio e “È un giorno…” di Francesco Guccini. Ce ne saranno però sicuramente altre.

Riprendiamo però il nostro percorso, con “La fata” di Edoardo Bennato, andiamo avanti nel testo: «E forse è per vendetta, e forse è per paura, o solo per pazzia, ma da sempre, tu sei quella che paga di più, se vuoi volare ti tirano giù, e se comincia la caccia alle streghe, la strega sei tu. E insegui i sogni da bambina, e chiedi amore e sei sincera, non fai magie né trucchi ma, nessuno ormai ci crederà. C’è chi ti urla che sei bella, che sei una fata, sei una stella, poi ti fa schiava, però no, chiamarlo amore non si può». Qui si evoca la storia della subalternità femminile, la violenza da sempre perpetrata nei confronti del “sesso debole”. Una condizione della donna chiusa in se stessa, senza altra via d’uscita se non con la lotta sociale, senza perdere però le caratteristiche proprie dell’“altra metà del cielo”. Considerevolmente rappresentativa di ciò, è la canzone “Marta” di Antonello Venditti, «Prega Marta nella sera, nessun Dio risponderà, ogni giorno una preghiera, e una falsa libertà. La giornata è stata dura, piena di contrarietà, il lavoro poi la scuola, e un ragazzo che non va…», bellissima, una ragazza degli anni settanta che può essere benissimo anche una ragazza del 2018. Il testo e la canzone vanno avanti, rappresentando appunto una vita chiusa nei propri problemi, fino a presentare però una possibilità di riscatto, «lotta Marta nella sera, io sarò vicino a te, amerò le tue speranze, il tuo tempo vincerà, anche per me».

L’operaia Vincenzina, in “Vincenzina e la fabbrica”, canzone di Enzo Jannacci e Beppe Viola, è invece più rassegnata, più raggomitolata nel proprio tran-tran quotidiano, come tante vite di donne lavoratrici e contemporaneamente “angeli del focolare”. «Vincenzina, hai guardato la fabbrica, come se non c’è altro che fabbrica… Vincenzina vuol bene alla fabbrica, e non sa che la vita giù in fabbrica non c’è, com’è, cos’è…». Vincenzina è quasi contenta di stare in fabbrica, lasciando immaginare la sua probabilmente triste vita extra-lavoro. «Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui, ‘sto Rivera che ormai non mi segna più, che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua…». Al contrario di Marta, qui non c’è proprio possibilità di migliorare la propria condizione.

Qualche decennio dopo comparirà la Sally di Vasco Rossi, magistralmente interpretata anche da Fiorella . «Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra, Sally ha patito troppo, Sally ha già visto che cosa ti può crollare addosso…», fino alla considerazione finale che «forse era giusto così, forse, ma forse, ma sì…». Ritratto di una donna come tante che ha vissuto esperienze negative ma alla fine prende coscienza che la vita è bella e va vissuta fino in fondo per quello che è. Stupenda anche questa. Tante sarebbero poi le canzoni sulla condizione sociale della donna, sulle sue sofferenze e intime peculiarità, canzoni scritte da uomini con una sensibilità “da donna”. Solo per citarla “Quello che le donne non dicono”, scritta da Enrico Ruggeri e anche questa perfettamente cantata da Fiorella Mannoia.

Ma torniamo a Bennato: «C’è chi ti esalta, chi ti adula, c’è chi ti espone anche in vetrina, si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può». Così finisce “La fata” di Edoardo Bennato. La donna come merce. Facile è ricordare la celeberrima prostituta “Bocca di Rosa” di Fabrizio De André, in cui senza falsi moralismi quella ragazza dispensa “Gioia e rivoluzione” in un piccolo paesino. Meno conosciuta è la Lucia, “Luci-Ah, di solito così non si fa…” di Battisti-Mogol, ragazza piena di vita e di facili costumi «E siam d’accordo con te, devi decidere tu il fidanzato che vuoi, comunque esageri un po’ con la richiesta che fai, provarli tutti non puoi…», ironia e gioia di vivere, senza farne una professione. La donna facile, esaltata e sottomessa, adulata e sfruttata. Quello che solitamente per un uomo vuol dire essere un conquistatore, un più o meno raffinato play-boy, per la donna può essere un'ingiusta condanna sociale. Così è spesso questa strana vita. In un’altra canzone di Battisti-Mogol, “Ma è un canto brasileiro”, il testo recita «Io non ti voglio più vedere, mi fai tanto male, col tuo sorriso professionale, sopra un cartellone di sei metri o attaccata sopra tutti i vetri, non ti voglio più vedere, cara, mentre sorseggi un’aranciata amara, con l’ espressione estasiata di chi ha raggiunto finalmente un traguardo nella vita… eppure non sei meno bella, in casa, senza cerone…» canzone in cui il protagonista desidera che la sua lei, famosa modella pubblicitaria, riesca a mostrarsi qualche volta nella sua bellissima versione “naturale”, non artefatta da trucchi vari.

Ivan Graziani diceva invece alla sua musa «E sei così bella, che più bella non c’è, e sei così dolce che più dolce non c’è, e sei così quieta… la mia vita e tua… e sei cosi scema che più scema non c’è, ed odiarti lo vedi è più forte di me, ma sei così bella…». Già, «si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può». La bellezza vince sulla sincerità del sentimento, se dura.

 

Finisce qui “La fata” di Edoardo Bennato e questo breve viaggio sulla donna nella canzone e nei cantautori. Un'esposizione sicuramente incompleta, a braccio, quasi di getto. Ognuno di noi ha in mente una canzone che parla della donna, della “sua” immagine di donna. Salvaguardarle nel proprio cuore significa mettere in atto quotidianamente quanto sia importante per gli uomini, ma anche per le stesse donne, considerare con rispetto il genere femminile in tempi non facili. Volerle bene e volersi bene, nel tempo effimero di una canzone.

 

 

 

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