La ricchezza
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La ricchezza esistenziale
editoriale | Qual è lo strumento di misura?
Si potrebbe cominciare osservando le differenze tra la ricchezza interiore legata agli affetti e all’emotività, e la ricchezza materiale che si sposa generalmente con i soldi e con gli aspetti economici.
La parte più romantica della nostra epoca ci ha già condotti spesso a rinnegare il denaro, definito vile, preferendo educarci a un sano apprezzamento di ciò che ci circonda e che non è acquistabile: da qui la confusione molto diffusa tra il concetto di felicità e quello di ricchezza.
Ma non dobbiamo avere paura di affrontare l’argomento, il denaro non è altro che il modo in cui la ricchezza si manifesta e viene utilizzata, il suo possesso definisce oggi una persona ricca. Tuttavia non facciamoci ingannare dallo strumento di misura, per quanto esso sia universalmente accettato, la ricchezza non è il possesso dei mezzi o delle materie prime necessarie per la produzione, infatti esistono paesi al mondo che sono ricchissimi di materie prime, ma la loro popolazione resta poverissima. È invece necessaria la capacità di utilizzarle al meglio e di organizzare la produzione in modo da generare la massima diffusione della ricchezza stessa.
È difficile che un individuo possa pensare alla distribuzione della ricchezza che egli produce come a un atto che gli genera benefici, ma in realtà è proprio così. Le crisi recenti del nostro sistema economico sono di sovrapproduzione e dipendono solo dal fatto che la domanda non è sostenuta dai redditi che il sistema genera, di conseguenza, se ci pensiamo bene, la ricchezza non si trova nelle cose, ma nella capacità di scoprirle e usarle.
Pensiamo invece alla vita di tutti i giorni e alla constatazione banale che la ricchezza è una condizione facilitante. Ciò è vero, in molti paesi occidentali esiste oggi un’innegabile corsa per conquistarla perché è vista come la condizione sufficiente al benessere; in alcune nazioni questa corsa è addirittura quasi un dovere civico di supporto al proprio paese. Per combattere queste degenerazioni del suo concetto, in particolare l’idea romantica che essa sia un valore assolutamente positivo, si è pensato allora di negare che la ricchezza sia una condizione davvero facilitante.
Come conciliare queste due correnti?
Prima di tutto dobbiamo scindere i due concetti, quello di ricchezza da quello di felicità, poi pensiamo che nessuno include il costo esistenziale per produrre ricchezza che dovrebbe essere valutato analogamente alle spese di un normale investimento finanziario: ognuno di noi dedica energie diverse per produrre il proprio reddito in termini di capacità, di psicologia, di condizioni d’origine ecc.. Ma se superiamo il livello consentito dalla nostra salute, qualsiasi sia la cifra che accumuliamo, saremo sempre e rovinosamente meno ricchi, anche da miliardari, con una pessima qualità della vita. Qualcuno l’ha definita ricchezza esistenziale e spiega per esempio che non ha senso immolarsi al lavoro per guadagnare di più senza avere il tempo di fare ciò che si ama, per vanità, avidità, insicurezza, bisogno di dominio sugli altri, masochismo, apparenza, mancanza di autostima. Insomma ci siamo dentro tutti, o quasi. E la spirale involutiva porta l’individuo alla costante e stancante ricerca della ricchezza perché è convinto che solo raggiungendola sarà felice, avendo le cose che ora desidera, ma quando sarà ricco desidererà livelli di ricchezza sempre più alti e sarà un insoddisfatto cronico.
Questa teoria vale anche per le singole nazioni che pretendono di raggiungere livelli di ricchezza al prezzo di molti anni di lavoro in più per i cittadini, politiche stressanti e servizi sempre più cari. Forse è banale ma basterebbe sostituire alla semplice crescita economica, il concetto di benessere del cittadino, no?