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Ricchezza e disuguaglianze
Lo scandalo delle differenze
di Michela Zucca - PRIMA PARTE
Le società alpine sono apparentemente molto più egualitarie di altre: quando esistono differenze di ricchezza, queste vanno accuratamente nascoste per evitare maldicenze.
Molti depositano i risparmi in filiali di banche diverse da quelle del proprio paese, per non mostrare 'gli affari propri', ovvero, l’evidenza di possedere qualcosa di più degli altri. «Vedi, qui da noi più o meno siamo tutti uguali»: questa la percezione del sé che emerge in tutti i paesi alpini. Rigorosamente falsa, anche a prima vista, ma creduta vera anche contro l’evidenza.
Il risvolto negativo, il prezzo da pagare per la parità sociale (soltanto di facciata, si badi bene, non esistono società senza differenze, perfettamente egualitarie) è l’annullamento di ogni pretesa di distinzione dalla massa. In questo tipo di sistema l’accumulazione di ricchezze individuale, specie se esibito, o anche l’ambizione personale che può portare all’arricchimento, possono rompere l’equilibrio e costituire un vero e proprio pericolo. Perché ciò che fa 'emergere' una persona rispetto ad un’altra è spesso concepita come un furto o una privazione di un bene collettivo.
D’altronde, l’egualitarismo è soltanto apparente: le differenze di sesso, e/o quelle di età, permettono di imporre una gerarchia di fatto, talvolta molto autoritaria, con la quale non è possibile dissentire, o mantenere un’idea propria. In più permangono, all’interno del contesto sociale, in cui la qualità della vita è buona, di sicuro superiore alla media italiana, alcune famiglie tradizionalmente considerate potenti ('forti'), a cui in maniera tacita viene delegato l’accesso alle cariche di rappresentanza e vengono concesse libertà che ad altri sono negate, e i loro componenti maschi si sentono legittimati ad usare per poter gestire il potere. Per esempio, durante una campagna elettorale per l’elezione del primo cittadino in un paese che non raggiungeva i 500 abitanti, uno degli sfidanti dichiarava, tranquillamente e pubblicamente, che lui «aveva il diritto» di fare il sindaco perché «l’aveva fatto suo nonno». Da notare che il personaggio in questione era un libero professionista, laureato, affermato e aveva passato gran parte della sua vita in città grosse. I suoi interlocutori consideravano in un certo qual modo giustificata la sua pretesa.
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Malgrado le affermazioni di egualitarismo, di fatto uno dei valori universalmente riconosciuti nelle nostre comunità è quello della 'roba' che una volta significava, principalmente, la casa e la terra, anche se nell’ultima generazione, il suolo agricolo ha perso di valore. Ancor oggi, comunque, quando si analizza a fondo quali sono le famiglie che gestiscono il potere, si capisce che sono quelle che possono contare su una gran quantità di metri quadri di terreno. Oggi 'la roba' significa la casa di proprietà (senza non è quasi socialmente permesso sposarsi), altre case o appartamenti per eventuali figli o da affittare o da tenere liberi ma intanto ci sono, le macchine (più di una per famiglia e, normalmente, grosse, cambiate di frequente). Tutte cose di cui però è proibito vantarsi, da far valere soltanto al momento opportuno senza tanti giri di parole e senza 'farsi vedere troppo': si potrebbe definire un modello di comportamento basato su un understatement (attenuazione) che però è solo esteriore. Ovvero: la ricchezza va acquisita e mantenuta, possibilmente nascosta ma non troppo, perché bisogna che gli altri sappiano che esiste, ma senza fare gli sbruffoni e soprattutto senza vantarsene perché si potrebbe essere accusati di averla tolta a qualcuno. Se necessario, però, si farà in modo di farla pesare come un macigno su chi pretende di avere dei diritti ma non ha pensato di ammucchiare fieno in cascina.
La ricchezza aumenta: ma solo per pochi
Secondo Noam Chomsky, economista e ricercatore al Massachuettes Institute of Technology, la proporzione fra i redditi medi del 5% della popolazione terrestre ricca e il 5% più povero è passata da 78 a 1 nel 1998 e da 114 a 1 nel 1993, e il divario sta ancora aumentando. Le percentuali non sono facili da calcolare: grosso modo, pare che il 20% degli abitanti del pianeta consumino l’80% delle risorse. La differenza di classe che, attraverso l’elaborazione teorica, l’impegno civile, le guerre e le azioni della 'piazza', ha provocato la nascita della democrazia e le rivoluzioni in Europa e in Nord America nel corso di un processo durato due secoli e mezzo circa, si è, in un certo qual modo, spostata a livello mondiale. È una differenza che provoca scandalo. Anche perché non è semplicisticamente imputabile ai rapporti di forza fra nazioni conseguenti alla colonizzazione, o alla formazione di una borghesia 'serva delle multinazionali', che fa in modo di continuare la dipendenza economica e politica.
Perfino all’interno delle società oggettivamente più inegualitarie, è opinione diffusa, senso comune dei ceti sociali meno fortunati la convinzione che il guadagno di uno costituisce una perdita per qualcun altro, o meglio, per gli altri. Qualsiasi ineguaglianza, qualsiasi superiorità viene interpretata, in fondo, come un’ingiustizia, un diritto negato, un furto. Il sospetto dello sfruttamento, dell’uso, dell’abuso avvelena le relazioni umane, che, per definizione, si svolgono fra persone ed elementi (famiglie, clan, classi, caste, nazioni, etnie) diverse, anche rispetto, o magari soprattutto, al proprio potenziale economico e produttivo. Va da sé che, se si spinge questa logica alle sue estreme conseguenze, qualunque differenza può diventare ineguaglianza, ed essere ritenuta un’ingiustizia, invece che un’occasione di arricchimento.
Nelle società tradizionali, quando si manifesta un’inspiegabile disparità di fortuna o di ricchezza, si imputa l’ingiustizia alla stregoneria criminale: cioè alla possibilità, per un individuo, di accrescere le proprie sostanze o il potere personale, divorando i beni o l’essenza vitale degli altri. Ragion per cui viene demonizzato, accusato, processato e spossessato di ciò che ha (talvolta, viene privato anche della vita). A partire dalla necessità di dare una spiegazione all’iniquità, l’idea della stregoneria è perfettamente logica. Questo sistema è omologo al marxismo popolare, che appare come la sua trasposizione laica, o la sua riduzione profana. L’ineguaglianza non è una conseguenza del lavoro, del genio, della costanza, dell’applicazione, della volontà, del caso, della situazione storica, delle condizioni culturali, delle provenienze familiari, delle possibilità che si sono sapute riconoscere, dell’essere stati 'al momento giusto nel posto giusto'. La causa dell’esistenza di ricchi e poveri è implicita in una società ingiusta, che permette ad alcuni di appropriarsi dei beni della cittadinanza, di ciò che è dovuto a chiunque, delle proprietà di ognuno. I beneficiari (streghe, stregoni, ed eventualmente capitalisti) hanno tutto l’interesse a diffondere un’ideologia meritocratica: ma vengono 'smascherati' dai tribunali del popolo.
Se non si è fra gli accusati, si tratta di una filosofia comoda, sul piano morale ed intellettuale. Questo razionale semplicismo ha ottenuto un successo universale, specie per quanto riguarda le relazioni fra Nord e Sud del mondo, anche fra gli intellettuali e i politici terzomondiali, che riuscivano ad individuare colpevoli facili, additandoli al ludibrio generale, coprendo, nello stesso tempo, responsabilità culturali che non si potevano risolvere in periodi brevi, cambiando soltanto il partito politico al potere e disseminando speranze. Il 'marxismo popolare' come giustificazione delle differenze economiche non regge ad un esame antropologico serio: in questo caso, il ricercatore deve essere capace di andare a fondo nelle motivazioni che hanno portato alla crescita dell’ineguaglianza sociale, anche a costo di sfatare i miti.
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[sarà pubblicata il 12 luglio 2019]