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Care lettrici - Cari lettori

Sei in Valle è un contenitore culturale, un trimestrale che lancia con questa periodicità dei temi stimolanti, intriganti. Li lancia come una sfida per i nostri collaboratori che scrivono nella propria rubrica dedicata e per chi ci legge, mosso da una sana curiosità. A voi la scelta! Leggere partendo da un tema o farlo consultando la rubrica che più vi interessa.

La cena

di Herman Koch

di Luca Conca

The Dinner 1024

Nel XVI secolo vengono chiarite, interpretate e formalizzate le unità di tempo luogo e azione che Aristotele aveva iniziato ad indicare nella sua Poetica.

Queste tre unità aristoteliche, alle quali per molto tempo si uniformò il teatro, sono:

  • unità di luogo: il dramma deve svolgersi cioè in un unico luogo, nel quale i personaggi agiscano o raccontino le loro vicende;
  • unità di tempo: l'azione deve svolgersi lungo l’arco di una sola giornata, dall'alba al tramonto;
  • unità di azione: il dramma deve comprendere un'unica azione, con l'esclusione quindi di trame secondarie o successivi sviluppi della stessa vicenda.

Sono pochi i romanzi in cui l’azione si svolga in poche ore, in un unico luogo e che sviluppi un’unica idea narrativa, un romanzo in cui l’unità di tempo, luogo e azione sia la vera protagonista.
cena koch 512La cena, di Herman Koch è uno di questi.

In genere questa scelta stilistica appartiene al linguaggio cinematografico e, se vogliamo, in senso traslato e direi filosofico, anche alla pittura o alla fotografia, intendendo con questo quel senso dilatato o cristallizzato del tempo e dello spazio che si raccoglie attorno ad un’immagine, quale che sia il suo soggetto.

In questo romanzo del 2009 a raccogliersi, letteralmente, intorno ad un tavolo di ristorante, nell’Amsterdam dei giorni nostri, sono due coppie di fratelli con le rispettive mogli.

Il motivo di questa cena è legato a ciò che i due figli quindicenni, Michel e Rick, uno per coppia, hanno fatto pochi giorni prima: hanno picchiato e ucciso una senzatetto mentre prelevavano ad un bancomat.
Le videocamere di sicurezza hanno filmato la scena, le immagini sono confuse, ma qualcosa si riesce a intravedere; è solo questione di ore (appunto) e i due ragazzini potrebbero venire identificati. E come se non bastasse c’è anche un video fatto col cellulare che potrebbe finire su Youtube.
Quella cena deve servire a parlare, decidere, scegliere una strategia.
Il libro mette in scena sapientemente, pur indugiando forse troppo su una compiaciuta indagine psicologica, questa silenziosa lotta tra i diversi, diversissimi caratteri dei quattro protagonisti, le loro paure, le loro ipocrisie, la loro morale, la loro onestà, il loro cinismo.
Uno dei due fratelli è un politico di grande carisma, che sta per candidarsi come primo ministro del governo olandese nelle prossime elezioni: ha un motivo in più per temere lo scandalo e la fine della sua carriera, ancor prima che il destino del figlio e del nipote.
Ma leggendo il libro, le dinamiche della vicenda e i dosati colpi di scena hanno lasciato il posto ad una riflessione forse più superficiale ma alla lunga insinuante: il vero protagonista del romanzo è il presente.
Mi spiego meglio. Il vero protagonista è il pericolo che corriamo nel mondo di oggi, la paura di non poter contare sulla “distrazione”delle telecamere, degli innumerevoli strumenti di controllo e ripresa intorno a noi. Non si può eludere la realtà, non la si può mistificare se una porzione di essa (un video) è già stata archiviata, memorizzata, preparata per essere sparata nel cyberspazio della coscienza legale ancor prima di quella morale.

La sorveglianza della realtà.
In soldoni fino a che punto si può farla franca, dopo un’azione criminosa, oggi?
E oggi è il termine chiave, non solo per la banale constatazione che i cellulari cinquanta anni fa non c’erano e che quindi ad uno scrittore certe soluzioni narrative non potevano venire in mente, ma perché solo oggi può succedere che l’assuefazione al costante e assoluto controllo della realtà ci faccia dimenticare il controllo stesso: sappiamo perfettamente che ogni nostra azione può essere registrata ma ce ne dimentichiamo, proprio perché siamo abituati al controllo, non lo temiamo più. La fruizione del reale non passa più attraverso l’esperienza ma attraverso la ripresa del nostro agire; come se per sapere di avere agito, compiuto un certo atto, dovessimo prima vederlo, come se solo allora ne avessimo consapevolezza.

barbone 1024

Michel e Rick, hanno quindici anni, l’età in cui si è già perfettamente padroni della tecnologia, si è già direi tecnologicamente smaliziati, eppure, commettono per stupidità un gesto feroce e insensato, uccidono e danno fuoco ad una barbona che ha deciso di sistemarsi al calduccio all’interno dell’atrio di un bancomat. Non c’è forse luogo più ristretto e vigilato di quello… eppure se ne dimenticano, agiscono come primitivi in un mondo digitale. Si rendono conto di ciò che hanno fatto solo dopo essersi visti nelle immagini sfocate, tremolanti e desaturate della videocamera della banca, che ora i telegiornali stanno mandando in onda in tutto il Paese.

Fortunatamente (se cinicamente facessimo il tifo per i due ragazzini) i cappellini che hanno ben calcati sulla fronte e i giacconi che li infagottano rendono difficile l’identificazione dei volti, di una fisionomia, di un particolare, di un’anatomia ma qualcuno, qualcuno in carne ed ossa, li ha filmati.
A queste immagini “pubbliche” e “autorizzate” si sostituiscono quelle “rubate” di un cellulare, e quindi l’assassinio è compiuto tre volte: nell’esperienza, nella registrazione dell’esperienza e nel “furto” dell’esperienza.
Tre volte che si sovrappongono in un unico, interminabile presente.

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