Un mezzo e un valore

per sancire l'alleanza terapeutica tra medico e paziente

di Alessandro Bertolini

trombettista

La prima cosa che mi torna alla mente nel pensare al connubio medicina e silenzio è la tromba, che in una caserma suona un tema ben noto a chiunque abbia fatto il soldato.

È un pensiero antitetico, che non c'entra nulla con quello che ruota attorno al discorso salute, non può. Il silenzio invita al meritato riposo a fine giornata o può pure diventare penoso accompagnamento nell'ultimo viaggio.

Si suona il silenzio più spesso nei funerali civili, quando c'è morte e non quando il medico è parte attiva nel combattere il male. Lo si suona agli eroi caduti nel compiere il proprio dovere. È una musica lenta, soporifera, che dice che è ora di tacere e spegnere ogni attenzione. Una musica che discende direttamente dai ricordi di caserma, dai racconti di guerra e dal piacere di ricordare Nini Rosso, famoso trombettista degli anni sessanta.

Impossibile udire quel suono di tromba in un Pronto Soccorso, difficile pensarlo in una sala parto o peggio ancora sul luogo di un grave incidente. In questi posti non si suona mai il silenzio ma la carica, perché sconfiggere una malattia vuol dire combattere con ogni mezzo contro un nemico che cerca di farci soccombere, come in guerra.

Chiunque lavori nella sanità non può stare in silenzio, non può mai riposare, deve sempre essere desto e pronto ad agire, usando la tromba per raccogliere le idee come se fosse alla carica tra i seicento di Balaklava.
Eppure, alle volte fermarsi a ragionare, chiudendo ogni senso ingannato dalla confusione esterna, potrebbe giovare nel giungere alle decisioni migliori, ma il paziente non chiede mai al medico di offrire silenzi, anzi vuole presenza e certezze. Desidera parole e conforto. Pretende spiegazioni e speranze e per farlo il medico non può stare in silenzio.

battaglia baklava
La Battaglia Di Balaklava - www.gensmaris.com

Nella comunicazione non verbale si dà molta importanza ai gesti o come essi possano confliggere con i pensieri che si vogliono comunicare con la parola al paziente o alla famiglia. Si fanno perfino dei corsi per non svelare menzogne con i gesti o le espressioni, mentre si dichiara una verità al malato.

Nella comunicazione verbale anche il silenzio ha una posizione e lo spiegano in tutti i corsi sulla comunicazione efficace, vale quanto i concetti espressi e ha sempre un significato d'impotenza, di resa, che presta al paziente il tempo per meditare e comprendere la difficoltà di una diagnosi. Il silenzio comunica e lascia il paziente solo con i propri pensieri, basta essergli accanto come presenza fisica, così si afferma.

Quando si usa il silenzio nel comunicare è per trasmettere la certezza di una diagnosi. Il silenzio coincide sempre con un differente percorso, assai spesso in salita. La comunicazione è parte integrante dell'agire, serve per spiegare e sancire l'alleanza terapeutica nel giusto rapporto medico paziente.

Dopo aver chiarito al malato quale sarà il percorso di cura, al medico nell'agire quotidiano non è mai chiesto il tacere, mentre solo nella propria intimità egli torna uomo e vive più spesso usando il silenzio, per distaccarsi dalla realtà frenetica del mondo lavorativo, dimenticare le sofferenze e le tristezze sopportate accanto al prossimo.
Il medico ammutolisce per ritrovarsi nella lettura, nello scrivere, nel dipingere o nel fotografare. Il medico, quando diventa artista, finalmente raccoglie i propri sentimenti e trova quella pace interiore soffocata dalle ore frenetiche trascorse a suonare la carica.

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