Il grande cambiamento

Il boom economico e le donne

di Michela Zucca - PRIMA PARTE

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A partire dalla fine degli anni '50 fino, grosso modo, alla fine degli anni '70, si innescò in Italia una fase di rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali.

Fu un processo che in dieci anni trasformò la penisola italiana da paese prevalentemente agricolo - sostanzialmente sottosviluppato - in un moderno paese industrializzato, perlomeno al Nord: le differenze, come vedremo, persistono.
Nei tre anni che intercorsero tra il 1959 ed il 1962, i tassi di incremento del reddito raggiunsero valori record. Questa grande espansione economica fu determinata da una serie di fattori simultanei. In primo luogo, fu dovuta allo sfruttamento delle opportunità che venivano dalla congiuntura internazionale. Più che l’intraprendenza e la lungimirante abilità degli imprenditori italiani, ebbero effetto l’incremento vertiginoso del commercio internazionale e il conseguente scambio di manufatti che lo accompagnò. In conseguenza di quell’apertura, il sistema produttivo italiano ne uscì rivitalizzato, fu costretto ad ammodernarsi e ricompensò quei settori che erano già in movimento. La disponibilità di nuove fonti di energia e la trasformazione dell’industria dell’acciaio furono gli altri fattori decisivi. La scoperta del metano e degli idrocarburi in Val Padana, la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto l'egida dell'IRI, permise di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi.

Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante fu l’aumento produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi: autovetture 89%; meccanica di precisione 83%; fibre tessili artificiali 66,8%.

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Ma va osservato che il 'miracolo economico' non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro. Gli alti livelli di disoccupazione negli anni ’50 furono la condizione perché la domanda di manodopera eccedesse abbondantemente l’offerta. Il potere dei sindacati era effettivamente fiacco nel dopoguerra e ciò aprì la strada ad un ulteriore aumento della produttività. A partire dalla fine degli anni ’50, la situazione occupazionale mutò drasticamente: la crescita divenne notevole specialmente nei settori dell’industria e del terziario. Il tutto avvenne, però, a scapito del settore agricolo.
La responsabilità e il merito dello sviluppo si spostarono, per la prima volta, dalle élite alle masse lavoratrici. La crescita fu imprevista e improvvisa. Gli italiani se ne accorsero, e quella consapevolezza servì da fattore euforizzante. Nell'Italia del boom ci fu una straordinaria tensione morale, una forza corale di ricostruzione, un’etica del lavoro, una fiducia e un'energia che non sono più state recuperate e che gli italiani rimpiangono ancora oggi (e sperano invano che tornino). Voglia di riuscire, di migliorare ad ogni costo.

In realtà, il «miracolo economico» ha riguardato una fetta modesta del paese, cioè poche città del Nord. Gli anni ’60 furono teatro di un rimescolamento formidabile della popolazione italiana: dal Sud la gente scappava, mentre la malavita diventava impresa.
Nel periodo tra il 1955 e il 1971, quasi 9.150.000 persone sono state coinvolte in migrazioni interregionali; nel quadriennio 1960-1963, il flusso migratorio dal Sud al Nord raggiunse il totale di ottocentomila persone all’anno. Dalle montagne italiane fuggivano in massa giovani e donne. Il flusso migratorio fu intercettato soprattutto dalle metropoli del Settentrione, perché la domanda di lavoro superò l’offerta nelle regioni del triangolo industriale.

Uno dei mutamenti più rilevanti di quegli anni fu la profonda trasformazione della struttura di classe della società italiana. Uno degli indicatori che mostravano come l’Italia fosse entrata ormai nel novero dei paesi sviluppati, fu il rapido incremento del numero di impiegati, sia nel settore privato, che nel settore pubblico. La categoria dei tecnici crebbe in maniera altrettanto rilevante.

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Ma il periodo della grande espansione fu anche teatro di straordinarie trasformazioni degli stili di vita, del linguaggio e dei costumi.

Nessuno strumento ebbe un ruolo così rilevante nel mutamento molecolare della società quanto la televisione. Progressivamente essa impose un uso passivo e familiare del tempo libero a scapito delle relazioni di carattere collettivo e socializzante che, alla lunga, avrebbe modificato profondamente i ruoli personali e gli stili di vita oltre che i modelli di comportamento.
A questo si accompagnò anche un deciso aumento del tenore di vita delle famiglie. Il primo totem della modernità, per un'Italia che aveva conosciuto la fame durante la guerra, è il frigorifero: «una porta magica che si apre, si illumina tutto e si vede il cibo». Poi verrà la televisione. Poi la lavatrice. E ancora lo scaldabagno, il telefono, i primi supermercati.
Dietro ai nuovi «elettrodomestici bianchi» c'è da conquistare un nuovo modo di vedere la casa e le donne. Anche dietro la nuova biancheria per la casa c'è una piccola rivoluzione sulla vita sessuale della coppia sposata. Nella società precedente le mogli dopo il primo figlio si lasciavano andare, venivano trascurate. Negli anni del boom comincia quella liberazione che poi avrà lo snodo principale nella scoperta dei contraccettivi.

 

La donna che consuma deve essere sempre bella

La nuova casalinga, imposta a furor di popolo prima dal cinema hollywoodiano poi dalla televisione, è sempre bella e sorridente, fa i lavori di casa tenendosi elegantemente in equilibrio su vertiginosi tacchi a spillo, sbriga efficientemente tutte le faccende con l’aiuto della tecnica, aiuta i figli a fare i compiti, aspetta il marito truccandosi e cambiandosi d’abito, prepara ottime cene, pulisce la cucina a specchio e, una volta finito tutto, è ancora fresca e riposata, pronta a fare sesso.
Si è conquistata il diritto di essere sia consumatrice che amministratrice: viene responsabilizzata ad amministrare e controllare il consumo, che va pianificato anche attraverso la vendita a rate e i progetti a lunga scadenza.
Mai come ora, e sempre di più in seguito, le richieste di igiene, pulizia e ordine della casa e di marito e figli si fanno pressanti: anche con l’aiuto degli elettrodomestici, richiedono diverse ore al giorno di lavoro, se si vuole essere all’altezza delle vicine. Il marito impiegato inoltre è una vera maledizione, perché pretende una camicia lavata e stirata ogni santo giorno. In Italia poi, dove il sistema delle mense aziendali non funziona come in altri paesi, e quelle scolastiche non esistono affatto, deve cucinare tre portate di pranzo e di cena due volte al giorno più la colazione la mattina.

Naturalmente, trova il tempo di curare genitori e suoceri, avendo per ciascuno una bella parola; si ricorda di ricorrenze e feste famigliari; organizza cene per gli amici del marito; riceve a casa i compagni di scuola dei ragazzi; li accompagna nelle varie attività extrascolastiche e si tiene aggiornata sulle novità didattiche e sui pettegolezzi di quartiere.
È obbligata anche a 'tenersi' perché, con gli opportuni sacrifici alimentari (diete spinte al confine della fame cronica, fino alla chirurgia plastica) e le dovute cure cosmetiche, anche la bellezza è diventata democratica, alla portata di ogni donna (se si impegna a sufficienza)1. Ovviamente, deve procurarsi i mezzi per seguire la moda, per essere sempre attuale e non invecchiare mai. Se si 'lascia andare', il marito sicuramente se ne cercherà un’altra, più giovane ed attraente: e ci sono schiere di ragazzine pronte ad insidiarlo appena esce di casa.
E magari, oltre a questo (che rimane comunque il suo compito principale, ciò che la rende 'una vera donna') trova anche modo di andare a lavorare fuori casa e guadagnarsi lo stipendio!

Questo, almeno, è il modello culturale che viene proposto da mezzi di comunicazione di massa sempre più potenti: ed è la storia di adesso, delle donne di oggi, di tutte quelle che fanno carte false per cercare di 'sentirsi all’altezza'. Sia che si tratti di proletarie, che di acculturate che svolgono una professione di concetto, l’imposizione di prototipi di wonder woman differenziati per classe e livello culturale non risparmia nessuna: fa sentire tutte ugualmente inadeguate e in colpa verso gli altri, bisognosi di attenzioni che non si riesce a dare: principalmente, il partner, poi ci sono i figli, i genitori anziani, i suoceri…
Come reagiscono le donne a pressioni come queste? Spendendo soldi: cercando, attraverso il consumo, spazi socialmente leciti di identità e di espansione del sé.
Il miglioramento delle condizioni di vita investe ogni ceto sociale, anche se gli strati più bassi della popolazione cominciano ad esserne veramente coinvolti negli anni ’70.

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foto: cameraLook

La prima cosa che le donne rivendicano è la possibilità di stare nello spazio pubblico senza doversi vergognare: in poche parole: vestiti nuovi e alla moda, come quelli delle 'signorine' che hanno invidiato per generazioni. Vogliono 'far bella figura': dentro casa non guarda nessuno, ma fuori possono apparire belle come tutte le altre, possono annullare finalmente le differenze di classe, almeno nell’aspetto esteriore. Dagli anni ’50 in poi, ancora di più negli anni ’60, le ragazze si tagliano le trecce e accorciano le gonne, si truccano il viso, si mettono i pantaloni. I moralisti le accusano di spendere al di sopra delle proprie possibilità.

Diventate un po’ più grandi, rivendicano una stanza da letto propria. Ricordiamo che la nozione di privacy era un lusso che la stragrande maggioranza della popolazione non poteva certo permettersi: i figli dormivano tutti assieme, spesso quelli dello stesso sesso, in un letto solo; talvolta nemmeno i genitori potevano avere una stanza da soli. Da parte del proletariato urbano così come dei contadini, la domanda di una 'casa decente' fu fortissima, in Italia come nel resto d’Europa: il boom economico fu anche e soprattutto un boom edilizio. In pochi decenni, la disponibilità di case raddoppiò2 e si trattò di appartamenti collegati – per lo meno nelle città – ai centri di distribuzione di acqua e di energia, che sollevarono le donne dai compiti più gravosi di approvvigionamento idrico, raccolta della legna, accensione della stufa, lasciando gli appartamenti più puliti. È sintomatico che all’apice delle preferenze e delle richieste ci furono proprio le 'camere', ovvero le stanze da letto, preferite rispetto al 'gabinetto' (che in molti stabili popolari continuava a rimanere al piano). Una nuova coscienza di sé imponeva alle nuove donne – e alle loro madri, che ne furono i vettori principali – bisogni di intimità che rivendicavano un posto privato dove tenere le proprie cose da non dividere con nessuno.

Quando il miglioramento delle condizioni di vita cominciò a coinvolgere ampi settori della popolazione, e gli immigrati iniziarono a stabilizzarsi, le italiane (a cui era ormai riconosciuto il ruolo di maitre a consumer) spinsero i mariti ad acquisti importanti, che risentivano delle profonde origini contadine e del bisogno di stabilità di una popolazione di sradicati: la casa. Poi la macchina, per acquisire finalmente libertà di movimento, per tornare al paese in ferie, per andare a far la spesa al supermercato… sempre a rate naturalmente.

casalinga anni60 640Le donne volevano l’appartamento da cui nessuno avrebbe più potuto sbatterle fuori, che sarebbe diventato il loro regno, da arredare come volevano, comodo e caldo. Che si poteva acquistare a rate facendo il mutuo. L’86% delle famiglie italiane, con tassi maggiori nei paesi e nelle piccole città e minori nei contesti metropolitani, vive in case di proprietà. È una delle percentuali più alte del mondo: fra le motivazioni di questa scelta, la grande difficoltà di vedersi assegnare una casa popolare (la quantità di appartamenti ad edilizia agevolata in Italia è fra le più basse dei paesi sviluppati), l’alto prezzo degli affitti, che sono aumentati in proporzione molto più degli stipendi, ma anche motivazioni di ordine culturale. La popolazione italiana, di origine contadina, non si è mai adattata completamente al matrimonio urbano senza base patrimoniale e, se una volta era la dote della sposa che determinava la possibilità o meno di contrarre le nozze, oggi è la capacità di trovare i soldi per poter comprare la casa. Molti giovani aspettano a sposarsi pur di non andare in affitto, e per questo rinviano la convivenza e quindi anche la programmazione dei figli.

Anche se si fanno economie e ci si fa aiutare dalle famiglie di origine, però, spesso i soldi non bastano più: oltre alle rate del mutuo e dei vari debiti per gli elettrodomestici e l’arredamento, per mantenere alto il livello dei consumi, per poter pagare le bollette di servizi mai visti prima, per mandare i figli a scuola, per cambiare i vestiti secondo la moda, per comprare da mangiare (e tutto deve essere pagato, mica come al paese…), in breve, per continuare a vivere degnamente in una grande città, un solo stipendio non basta più.
Il sogno dell’operaio di massa italiano, che veniva dal Sud (quello del Nord non l’aveva mai avuto…), di poter far vivere la moglie 'come una signora', si infranse nel giro di pochi anni: le donne degli immigrati meridionali, come le loro compagne di sventura settentrionali, entrarono a frotte in fabbrica, e poi negli uffici delle grandi metropoli.

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1 - AA.VV., Storia delle donne, vol. V cit., Luisa Passerini, Donne, consumo e cultura di massa, p. 378-380
2 - AA.VV., Storia delle donne, vol. V cit., Nadine Lefaucher, Famiglia: un nuovo regime di riproduzione, p. 468-469

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