Editoriale

Tema «La paura»: Una chiave d'uscita tra... le favole

di Gloria Ciapponi

paura Spillaert
Léon Spilliaert – Autoritratto allo specchio (dettaglio), 1908Essenzialmente la paura è classificata come emozione primaria e può essere di natura innata o appresa, ma i fattori fondamentali per definirla risultano essere la percezione e la valutazione dello stimolo come pericoloso o meno.

Diverse ricerche ci dicono che potenzialmente qualsiasi oggetto, persona o evento può essere vissuto come pericoloso e quindi indurre questa emozione. Un'emozione che si manifesta con diversi stati di intensità e che come sulla tavolozza di un pittore variano di tonalità e di intensità partendo dal timore e arrivando al panico passando dall'apprensione, dalla preoccupazione, dall'inquietudine, dall'ansia, dal terrore e dalla fobia. Ed è terribilmente soggettiva!

La faccia della paura si svela in un modo molto caratteristico: occhi sbarrati, bocca semi aperta, sopracciglia avvicinate, fronte aggrottata, abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbondante sudorazione e dilatazione della pupilla. In casi estremi avviene una sorta di paralisi, che può addirittura condurre alla morte per collasso cardiocircolatorio.

La funzione della paura è normalmente positiva perché prepara la mente e il corpo alla reazione che si manifesta come comportamento di attacco o di fuga, quindi le cure contro la paura si rivolgono solo a quei casi in cui rappresenta uno stato patologico, come ad esempio attacchi di panico o di ansia di fronte ad uno stimolo non pericoloso.

Fin dalla tenera infanzia i bambini si trovano a sperimentarla perché si tratta dell'emozione più intensa: temono il buio, i mostri, la solitudine, oggi più che mai anche la morte. Il mondo è sempre stato violento e non ci sono colpe da addossare perché la crudeltà non è mai mancata, le guerre e l’odio sono elementi che caratterizzano la realtà di ogni epoca. Hansel e Gretel hanno fatto i conti con l’abbandono, Pollicino con il cannibalismo, Cappuccetto Rosso con l’aggressione, Cenerentola con la sopraffazione e le sevizie. Eppure, fino ad alcune decine d’anni fa, i bambini non avevano la morte tra i loro incubi nella stessa misura di quelli di oggi forse perché se ne parla troppo poco e tante favole moderne hanno cancellato le paure di cui avevano bisogno, di cui tutti abbiamo bisogno per misurarci con ciò che ci circonda.
Le fiabe, dunque, servono ai grandi ancor più che ai piccoli. L’umanità avverte da sempre la necessità di rappresentare le immagini che provocano ansia e angoscia per superarle tramite la rappresentazione e la narrazione. Narrare vuol dire condividere l’esperienza e superarla tramite la verbalizzazione o la scrittura. Senza questa rappresentazione (che pervade tutto il mondo delle arti) l’uomo rimane schiacciato sotto il peso delle paure, incapace di essere libero. La necessità di raccontarsi ha in sé una possibilità autocurativa che permette di trovare soluzioni agli eventi della vita che appaiono inspiegabili. Le soluzioni escogitate in una singola storia possono essere molteplici, sono tante le possibilità di uscita da una impasse esistenziale.

Le favole sono un ottimo strumento per insegnarci a gestire la paura, conducono anche in un mondo di possibilità e di cambiamento, insegnano che si può “morire di paura” e che si può rinascere dalla paura, attraverso la forza e la volontà di cambiamento, con una particolare attenzione alle nostre emozioni e credendo nelle nostre potenzialità, a volte nascoste o sopite. E allora cominciamo proprio da lì per imparare a non essere schiavi di chiunque vorrà approfittare delle nostre paure adulte, cominciamo da questa antica cultura popolare, permettiamo alle streghe, agli orchi e ai giganti di continuare a popolare l’immaginario delle nuove generazioni.

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