L'allegoria degli animali-uomini

Animals dei Pink Floyd

di Franco Ferramini

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Eravamo appena usciti, o forse eravamo ancora dentro in pieno come lo siamo ora, da due capolavori assoluti del Pink Floyd: «The dark side of the moon» e «Wish you were here».

Il primo fu pubblicato l’1° marzo 1973, mentre il secondo il 15 settembre 1975. Questo gruppo, con questi due dischi, aveva ormai raggiunto il massimo della popolarità. Intendiamoci, non era comunque musica di facile ascolto, ma in quegli anni accadevano cose che oggi avrebbero del sorprendente: rimanevano ai primi posti in classifica di vendita per settimane e settimane album con contenuti di qualità eccelsa, destinati a ricoprire nel tempo un posto di rilievo nella storia della musica contemporanea. Un evento che può apparire molto strano nel degrado di gusti giovanili del panorama musicale odierno, ma non voglio apparire ancora una volta troppo 'anziano'. E allora lo vogliamo dire che «Animals», il disco oggetto di questo scritto, fu ampiamente contestato anche nell’anno della sua uscita? Accadeva nel 1977, nel pieno di un periodo in cui esplose un nuovo genere musicale: il punk.

Johnny Rotten, leader dei Sex Pistols, girava con la maglietta «Io odio i Pink Floyd». I punk consideravano i Pink Floyd rappresentanti del 'sistema' e della vecchia musica. Lascio al lettore, al di là dei gusti musicali di ognuno, il raffronto tra Pink Floyd e Sex Pistols, e su questo confronto mi taccio per sempre. Dicevamo allora, 1977, 23 gennaio, pubblicazione di «Animals» dei Pink Floyd. Un disco in cui Roger Waters cominciò la sua dittatura culturale nel gruppo, che sfociò poi in «The Wall» nel 1979, e proseguì fino allo scioglimento del gruppo. Dopo il successo di «Wish you were here» cominciarono i primi dissapori: Waters voleva dare un connotato più politico ai lavori della band, gli altri non erano convinti di ciò, fino all’uscita dai Pink Floyd del tastierista Richard Wright, dopo la registrazione di “The wall”.

“Animals” fu chiaramente ispirato alla «Fattoria degli animali» di George Orwell. Dopo la riflessione sulla vita e sulla morte di «The dark side of the moon» e il ricordo di Syd Barrett in «Wish you were here», questo lavoro del 1977 è quello che molti definiscono il disco più politico dei Pink Floyd, una sagace contestazione della società fine anni ’70 che può avere però ancora valore ai giorni nostri. In copertina una enorme scrofa volante di dodici metri tra le ciminiere di una vecchia centrale elettrica londinese. Durante il set fotografico per le foto di copertina nel dicembre 1976 Algie, la scrofa, si staccò dalle corde che la tenevano legata e si librò per i cieli di Londra. Era stato previdenzialmente pagato un cecchino per abbatterla nel caso in cui fosse accaduta una cosa del genere, ma costui fu pagato solo per il primo giorno, e Algie pensò bene di iniziare il suo libero volo per i cieli di Londra il secondo. Fu allarmato addirittura il corridoio aereo dell’aeroporto londinese di Heathrow, bloccando diversi voli. Il responsabile dello studio fotografico Hipgnosis, Aubrey Powell, fu arrestato, e dopo qualche ora rilasciato. Fu lanciato un appello radio dall’agenzia, l’aviazione britannica fece decollare un elicottero alla ricerca del maiale. Fino a che arrivò una telefonata da un contadino del Kent, avvisando che era caduto presso la sua fattoria un enorme maiale gigante che spaventava le sue mucche. Grandiosi in tutto, i Pink Floyd.

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Il disco è un’allegoria sociale dei nostri giorni. Come nel libro di Orwell, usa gli animali per descrivere gli uomini e ne classifica tre categorie: i cani (Dogs), i maiali (Pigs-Three different ones) e le pecore (Sheep). Premetto che per chi come me ama incondizionatamente gli animali credo sia difficile identificare i cani, i maiali e le pecore come esseri capaci di compiere le gesta descritte nel libro di OrwellI. I cani sono adorabili ed empatici compagni dell’uomo, i maiali sono animali intelligenti e fin troppo remissivi, costretti per sempre dall’uomo ad orrende morti per trasformarli in cibo, le pecore sono simpatiche creature assolutamente docili e remissive, ma non per questo stupide. I cani invece nell’allegoria 'pinkfloydiana' sono i detentori della legge, coloro che proteggono il potere, quelli il cui unico scopo è difendere una società corrotta, ingiusta e malata, gli arrivisti in genere, senza scrupoli pur di emergere. Per Waters costoro sono comunque esseri non sani di mente: le prime parole del brano su di loro sono «Devi essere pazzo, devi averne davvero bisogno…». I maiali rappresentano il potere spietato, cinico, dispotico: non è difficile scorgere in loro somiglianze con politici del passato e del presente (siamo sempre costretti a sperare nel futuro). Le pecore sono «la mandria insana e cieca» che comunque nel disco, a differenza del romanzo di Orwell, alla fine si ribellano, sconfiggono i cani e spodestano i maiali ma, riprendendo in questo caso Orwell, non possono esulare dalla loro natura, invitando tutti gli animali a «restare chiusi in casa», evitando per sempre i pericoli del mondo.

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immagine: everymanplayhouse.com

Dal punto di vista musicale il disco si apre con: «Pigs on the wing», un breve e delicato brano solo voce e chitarra acustica in cui Waters descrive alla moglie cosa potrebbe succedere se loro due non si curassero reciprocamente l’uno dell’altro. Il secondo brano è «Dogs», un brano lungo 17 minuti che inizia con accordi di chitarra e voce di Gilmour che vanno via via sfumando tra 'svisate' alle tastiere di Wright. Poi ritorna di nuovo imperiosa la chitarra di Gilmour tra assoli e ritmo incalzante nella descrizione dei cani, rappresentanti e difensori feroci del potere. Cani che si sentono in sottofondo mentre la musica diventa più ampia, con ritmo più rilassato, con gli assoli di chitarra di una potenza evocativa che solo lui può rappresentare nella musica 'prog' degli anni Settanta. Senza nulla togliere agli altri chitarristi dell’epoca, sembra quasi che Gilmour volesse rimarcare, ad ogni sua sottolineatura musicale, la gloria imperitura destinata a formarsi nelle sue opere. Ma la 'grandiosità' è una voluta tendenza caratteristica che pervade da sempre e per sempre tutta l’opera dei Pink Floyd, a mio modesto parere non bisogna stupirsene. Il brano finisce tra musicalità sempre più caratteristiche di questo gruppo, con gli accordi alle tastiere di Wright, la chitarra di Gilmour, la batteria di Mason e la voce, questa volta, di Waters.

Volevo tacere, ma proprio non ci riesco: Jhonny Rotten e i Sex Pistols, ai tempi, ne avevano di 'pagnotte da mangiare' prima di arrivare a questi livelli. Altro che storie, scusate proprio. Il terzo brano dell’album è «Pigs (Three different ones)». In questo brano è molto usato il 'talk box', una sorta di distorsore per creare dalla chitarra di Gilmour e dal basso di Waters, che nella registrazione si scambieranno anche gli strumenti, i grugniti dei maiali. Notevoli gli interventi di Wright alle tastiere, che può ricordare addirittura alcuni preludi di Bach. Il brano musicalmente si conclude con il solito irruento assolo di Gilmour, circondato dalla maestria degli altri. Di maiali ne vengono descritti di tre tipi: nella prima strofa la voce di Waters, in questo brano urlata o sfumata ironicamente con parole trascinate a sottolineare con forza il proprio disprezzo per i tipi descritti, si scaglia molto probabilmente contro l’allora primo ministro James Callaghan, contro la leader (in quegli anni dell’opposizione) Margaret Tatcher e, la terza, la signora Whitehouse, un'attivista politica molto seguita ai tempi nel Regno Unito che voleva vietare la musica dei Pink Floyd alla radio, in quanto ritenuta diseducativa, peccaminosa e invitante all’uso delle droghe. Waters si scaglia contro questi tre rappresentanti dei 'Pigs' con toni molto decisi, arrivando a descrivere la Tatcher, che odiava già da allora, come un 'sacco di m..da al capolinea'. Sappiamo che quella signora diventerà poi primo ministro per un lungo periodo, dal 1979 al 1990. Il quarto brano del disco si intitola «Sheep», ed è dedicato al popolo, a coloro che seguono sempre le decisioni dei potenti senza mai obiettare, senza mai ribellarsi. Qui è molto presente Waters alle tastiere. Il pezzo sembra quasi una vigorosa 'danza macabra prog-rock' sull’incapacità delle pecore di ribellarsi ai cani e ai maiali.

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foto: https://los40.com

Il finale della storia per i Pink Floyd, come dicevo, è però diverso da quello di Orwell. Le pecore si ribelleranno, uccideranno i cani e prenderanno il potere. Faranno ciò però solo le pecore più furbe, le altre saranno moralmente dissuase dall’impicciarsi in questioni più grandi di loro con la frase «È meglio che resti a casa, e rispetti gli ordini. Togliti di mezzo se vuoi campare a lungo». Qui Roger Waters, si scaglia anche contro la religione, interpretando la frase «Il Signore è il mio pastore» come colui che ha solamente interesse ad allevare il suo gregge per poi macellarlo. Una visione assolutamente catastrofica, definitiva. Il quinto brano è una ripresa di «Pigs on the wing», in pratica la seconda parte, in cui Waters dialoga ancora con la moglie ed è contento di trovare con lei un’isola felice per allontanare il complicato mondo di fuori.

Dal punto di vista musicale questo disco arrivò dopo i due capolavori sopracitati e prima di «The wall», con Roger Waters sempre più insofferente verso lo 'star-system' e tutto ciò che ne consegue. Nei brani di questo lavoro echeggiano spesso sonorità fortemente caratteristiche dei Pink, sentite prima e che si sentiranno anche dopo. Serpeggiano però sempre più i dissapori tra i quattro. «Animals», si diceva, è stato il disco dei Pink Floyd più politico, in cui questo gruppo ha urlato la sua rabbia sociale, non lasciando alcun spazio di redenzione alla società degli umani. Un 'pessimismo storico' senza possibilità di riscatto. Può esserci però una chiave di lettura diversa: come dire, «Questa è la situazione nel mondo, datevi da fare per cambiarla». Un disco forse sottovalutato, ma prezioso e meravigliosamente suonato. D’altra parte, qui non si scherza signori, stiamo parlando dei Pink Floyd.          

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