Storie sparse di legami in musica

Navigando a vista nel grande mare delle unioni in musica

di Franco Ferramini

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Demetrio Stratos (foto: Radio24)

La musica è un linguaggio direttissimo; arriva inarrestabile nelle orecchie, si può manifestare negli occhi, ne puoi avvertire le vibrazioni, penetra nel cuore.

Una breve introduzione tecnica. Negli spartiti musicali esistono due tipi di legature tra le note: la legatura di valore, quando più note di una stessa altezza devono essere suonate senza interruzione, e la legatura di portamento (o di frase), quando le note anche di diversa altezza devono essere eseguite in modo fluente, senza stacchi tra una e l’altra, fino a comporre una frase musicale. L’ opposto della legatura è lo staccato, esecuzione di note staccate una dall’altra. Con gli strumenti a fiato, il legame tra il corpo del suonatore e lo strumento è fondamentale. Negli strumenti a fiato suonare una legatura significa che mentre tu suoni non puoi respirare, e allora si sono inventate tecniche varie di respirazione.

Quale rapporto può esistere tra il proprio corpo e la rappresentazione di un'arte? Ciò può accadere nella danza, nella recitazione, nel crampo dello scrittore. Ma quale legame è più bello di quello della voce umana e della musica? Cantare, “Cantare la voce”. Quello è il titolo di un album del 1978 di Demetrio Stratos. Qui la fusione tra il corpo del cantante e la musica giunge ai suoi massimi livelli. Demetrio Stratos usa la voce come uno strumento, o come più strumenti che suonano insieme; con lui la legatura musicale assurge ad esercizio fisico, a sforzo notevole col proprio corpo. Tanto che il suo morire giovane, a 34 anni nel 1979, qualcuno sospetta sia dovuto all’abuso di medicinali usati per sostenersi. Ma questo realmente non si saprà mai.
Nell’ambito della musica jazz artistiche affinità elettive portano alla formazione di superiori sinergie. Nell’improvvisazione musicale l’intesa deve essere forte; qui i musicisti si incontrano nelle jam session, formano i gruppi, per poi dividersi ed incontrarsi con altri musicisti, per arricchirsi di altre esperienze musicali. Nel jazz rimane indissolubile l’aver suonato lì, insieme, in quel locale, in quel luogo e in quel momento. Rimane ovviamente ancora più indissolubile la sala di incisione, quando il gruppo di musicisti vuole rendere testimonianza non volatile del proprio legame in quel momento storico.

C’è invece una band “progressive” che dal 1967 vive intorno ad un unico componente. Nei Jethro Tull, da quell’anno tutto ruota intorno all’immaginifico Ian Anderson. Lui solo è il leader indiscusso. Lui è il genio musicale che negli anni ha prodotto questa “grande famiglia” di chi è stato nel gruppo e di chi ne è uscito. Tutti ancora più o meno in contatto con lui. Questo flautista, ma anche polistrumentista, è legato al nome della band da cinquant’anni; solo lui è rimasto, il capo, braccio e mente in un'unica persona. Che dire poi di Simon e Garfunkel, primo successo nel 1957, si chiamavano “Tom e Jerry”. Poi le loro strade si sono divise, fino alla riunione per il primo album di successo, nel 1964. L’ album si rivela all’inizio un vero flop commerciale, e il duo si divide di nuovo, per poi ritrovarsi ancora nel 1966, visto il successo dello storico singolo “The sound of silence“ “…e nessuno osava disturbare il suono del silenzio…”. Dopo diversi grandi successi l’ultimo grande album nel 1970, “Bridge over trouble water”, “….quando viene l’oscurità e il dolore è tutto attorno, io mi stenderò come un ponte sopra acque agitate…”, e poi un’ altra separazione. Per arrivare al 1981, col “The concert in Central Park”, altro successo per un ennesimo ritrovarsi del duo. Da lì altre collaborazioni, ogni tanto intervallate come in tutta la loro carriera da altre esperienze musicali. Una vera e propria “coppia aperta” nell’ambito del panorama musicale. Nelle “reunion” delle rock band invece si compie il capolavoro del legame in musica. Suonare insieme dopo qualche anno, dopo aver concepito dei capolavori per poi essersi divisi, è qualcosa di indicibile dal punto di vista emotivo. “Due volte nella vita” è il titolo del libro di Franz Di Cioccio, batterista della Pfm, scritto in occasione della riunione di quel gruppo nel 1996-1997.

Una band mitica del “prog” italiano , concerti e dischi negli anni ’70 e ’80, fino all’ultimo concerto prima dello scioglimento, al vecchio “Rolling Stone” di Milano intorno alla metà degli anni ’80. E poi, magicamente, il ritrovarsi del gruppo, così ben descritto in quel libro. Per arrivare al concerto dopo l’uscita del libro e di un CD, al Teatro Lirico di Milano, dove era presente, fortissima, la sensazione di come può essere coinvolgente l’amore per una band. Il pubblico di fans e i vari componenti del gruppo sul palco, di nuovo all’unisono. Per poi, negli anni ancora a venire, perdere ancora i pezzi. Prima via il tastierista, poi il chitarrista. Perché possono esistere legami fragili ma indissolubili nel tempo, come per il jazz, anche se ciò può apparire contraddittorio.

Nel mondo della canzone d’autore italiana, tra gli innumerevoli testi degni di nota, voglio solo ricordare “Gaston e Astolfo-Millenovantanove” di Roberto Vecchioni in cui l’amicizia tra Gaston e Astolfo, maturata durante le crociate, si trasforma in una profonda unione che la gelosia potrebbe trasformare in violenza. La rappresentazione del tradimento di un legame nato in forti esperienze di vita vissuta insieme. Ma come tutti i capolavori si può prestare a diverse interpretazioni.

...se devo credere ai mercanti di Fiandra
stai con quella che ride di più
tiri la spada con la tua ombra
e sei felice, va bè o suppergiù
chissà se stai scrivendo ancora poesia
chissà con che sorriso le dici anima mia
Gaston è vecchio, Gaston è sempre bello beve
ogni sera quanto vale il tuo cuore
Gaston ricorda tutto ogni duello
e i nemici e le tue ferite amore
e ricorda parole che il vento era una brezza
e la prima volta che ti ha dato una carezza…

…se dormo sogno di sfidarti sempre
e farti un buco proprio dentro il cuore
farti sentire tutto il senso
di questo inutile avere dolore
e riempirti la pancia con la tua stessa spada
perché tu non sei più lo stesso
e perché non ti veda …

Un’atmosfera, una musica e un testo che però vanno ascoltate per comprenderne appieno la bellezza.
E infine, in forme di musica più leggera ma non per questo meno interessante, non più il legame musicale ma l’esortazione “legami!”, nella canzone appunto “Legami” di Donatella Rettore del 1994 “…legami forte a te come non so fare io…” e nell’altra canzone “Crudele” di Mario Venuti del 2004 che dice: “…legami le mani, legami, con doppi nodi, all’anima…”. Ma queste sono altre storie di legami musicali.

La musica è un linguaggio direttissimo; arriva inarrestabile nelle orecchie, si può manifestare negli occhi, ne puoi avvertire le vibrazioni, penetra nel cuore. E quando si ama un brano, difficilmente si riuscirà a spezzare quell’incantesimo che si è venuto a creare tra chi l'ha scritto, chi l’ha suonato e chi l’ha sentito. Un legame che parte dalle leggi della fisica per approdare a forme misteriose di universalità spirituale.

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