La morte

I riti della morte in Valposchiavo

Le tradizioni legate a un culto antico tra '800 e '900

di Federico Godenzi

carro funebreVecchio carro funebre di Poschiavo

"Non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali; è un sollievo de' mortali che son stanchi di soffrir".

Oggigiorno queste parole possono sembrarci strane, quasi ciniche, eppure fino a metà del secolo scorso in Valposchiavo, ma certamente non solo, erano diffuse anche tra i più piccoli, che spesso e volentieri le ripetevano a mo' di ritornello. Nella società contemporanea, ritenuta per molti aspetti moderna e aperta, il tema della morte è andato progressivamente scomparendo dai discorsi quotidiani. I nostri occhi sono costantemente bombardati da immagini televisive e mediatiche che parlano di morte - si pensi ai servizi giornalistici dalle zone di guerra o ai numerosi telefilm polizieschi che riempiono le nostre serate di cadaveri - e tuttavia, quando la morte si presenta come un fatto privato, che ci tocca da vicino, spesso ci troviamo in difficoltà dovendone parlare. In questo breve articolo si ripercorrono alcune delle tradizioni legate al culto dei morti diffuse in Valposchiavo all'inizio del secolo scorso e oggi non più riconosciute o completamente cadute in disuso.

cappella s.annaDobbiamo innanzitutto prendere coscienza del fatto che la percezione della morte è mutata sostanzialmente rispetto al primo Novecento. Tutti gli intervistati hanno raccontato di come la morte fosse allora vissuta più liberamente. Un tempo la religione ricopriva un ruolo centrale nella vita della piccola comunità e impregnava ogni singolo aspetto del vivere quotidiano; le persone vi si affidavano con fede e rassegnazione. In questo modo, la morte di un caro, pur rimanendo una tragica perdita, era accettata nella consapevolezza che questi godeva ormai dei piaceri della vita ultraterrena nell'attesa di un eterno ricongiungimento con i superstiti.

La tradizione più dimenticata è certamente quella dell'Officio del sale dei morti. Al termine di una delle cerimonie in memoria del defunto, all'entrata della chiesa, due congiunti portavano alcuni sacchi di sale, generalmente da 50 kg, e ne distribuivano un poco a ogni partecipante. Di regola le persone all'uscita dalla chiesa aprivano sul palmo della mano un fazzoletto che una volta riempito veniva riannodato agli angoli come un piccolo fagottino. Questo sale poteva essere utilizzato unicamente per scopi domestici e, ogni qualvolta una persona avesse usato di quel sale, avrebbe dovuto ricordare il defunto con una preghiera. Il dono del sale era considerato quindi come una piccola rimunerazione affinché la gente del paese pregasse per il defunto. Per ovvi motivi di credo quest'usanza era mantenuta in vita solo dai membri della comunità cattolica, anche se in caso di morte di un qualche conoscente o di un caro amico di famiglia, pure i poschiavini di confessione riformata partecipavano all'Officio per ricevere il sale.

Un'usanza che invece sopravvive, ma della quale ben pochi ricordano il significato, è il rintocco delle campane a morto. Per quanto riguarda la parte cattolica della comunità di Poschiavo, le cose non sono cambiate molto. Dal diverso suono e dalla durata dei rintocchi è possibile distinguere l'annuncio della morte di una donna da quella di un uomo, di un prete da una suora e via dicendo. Il suono delle campane per l'annuncio di un decesso si suddivide in due parti: il suono dei Pater, Padre nostro, e il suono delle Ave Maria. Un Pater consiste in un minuto di rintocchi della campana numero 1 seguito da 45 secondi di silenzio. Un'Ave Maria è invece costituita da un minuto di suono della campana numero 3 e da 45 secondi di silenzio. La campana numero uno è chiamata anche la "campana di mort" a causa del suo suono più cupo rispetto alle altre. Per i laici, il suono si differenzia unicamente per quanto riguarda il numero delle Ave Maria: per un uomo suonano 9 Pater e 3 Ave Maria, mentre per annunciare il decesso di una donna si suonano 9 Pater e solamente 2 Ave Maria. Più si sale la scala clericale, più aumenta il numero dei Pater suonati, mentre rimangono uguali le Ave Maria, 3 per gli uomini e 2 per le donne. Rintoccano quindi 12 Pater per la morte di un parroco o di una suora, 18 Pater per annunciare la morte di un vescovo e 24 per quella di un papa. Si ha quindi al massimo, in occasione del decesso di un pontefice, una suonata di circa 47 minuti.
Non esistono distinzioni per annunciare il decesso di un membro della comunità riformata; per comunicare l'identità del defunto e la data del funerale, una donna della comunità, la "cumar", passava però un tempo di casa in casa a informare tutte le persone. Questa usanza risale probabilmente agli albori dell'insediamento riformato in valle, quando la comunità non possedeva ancora una chiesa e quindi l'informazione non poteva passare che per via orale.

campanili poschiavoCampanili a Poschiavo: (d.s.) Chiesa evangelica riformata, Casa Torre comunale, Chiesa cattolica romana

La rivoluzione più sostanziale riguarda sicuramente la celebrazione del funerale cattolico con la caduta in disuso dei funerali cosiddetti di classe. A Poschiavo le differenze sostanziali fra un funerale di prima, di seconda o di terza classe consistevano nella quantità e nella qualità delle candele bruciate in chiesa durante la cerimonia e nel compenso delle persone impiegate. A Brusio, invece, si riscontravano differenze più ampie. Potevano variare l'uso dei paramenti, il numero dei celebranti e addirittura lo svolgimento della cerimonia stessa. Se per un funerale di terza classe si recitava una messa semplice e priva di salmi, per uno di prima classe si poteva addirittura celebrare una messa solenne da requiem. Esisteva inoltre un regolamento per la cerimonia funebre in caso di morte infantile; a variare erano nuovamente il numero e la qualità delle candele, come pure la retribuzione per i sacerdoti e i concelebranti.

Per quanto riguarda invece la cerimonia protestante, le persone intervistate non ricordano che i funerali avvenissero molto diversamente. Allora si iniziava il funerale nella casa del defunto per poi trasportare la salma al camposanto, dove le spoglie mortali venivano deposte dentro la fossa. Solo in seguito ci si recava in chiesa. Fra gli intervistati qualcuno ricorda però di come anticamente il funerale si svolgesse interamente davanti alla fossa, usanza che venne poi soppressa per rendere meno aspre le cerimonie, specialmente nei periodi freddi e piovosi dell'anno. Un'altra differenza sostanziale, rispetto alla comunità cattolica, era che, indipendentemente dal sesso, dall'età e dal grado sociale della persona defunta, le cerimonie rimanevano invariate.

Sono queste solamente alcune delle tradizioni e degli usi legati alla morte che un tempo riuscivano a rendere l'ultimo atto della vita terrena di tutti noi un fatto più quotidiano, forse per questo meno pauroso e meno tabuizzato rispetto ai nostri giorni e quindi più facile da affrontare.
Concludendo mi piace ricordare un'ultima testimonianza che ben dimostra questa diversa attitudine. Un'anziana signora durante un'intervista ha ricordato di come la madre, quando essa era ancora piccina e con i fratelli combinava una qualche marachella, la riprendeva dicendo più o meno: «Fate pure, fate pure... Ma un giorno anche voi vi troverete tra le candele...» La madre voleva così rendere attenti i figli, ricordando la fugacità della vita terrena con un'immagine ben nota anche ai più piccoli: quella dei defunti esposti in casa per le veglie funebri e contornati dai ceri accesi.

 

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