La giovinezza

Il dieci perfetto

Una giovinezza fenomenale

di Franco Ferramini

nadia comaneci atleta bambina

Nadia Comăneci: «Credi che sia possibile, per una bambina, volare?»

Siamo nella seconda metà degli anni Sessanta, a Onesti, in Romania. Bela e Marta sono marito e moglie, insieme gestiscono una scuola sperimentale di ginnastica femminile.

Bela gira tutte le scuole elementari della zona, osservando capriole e giravolte che le giovinette compiono in piena libertà nei cortili durante l’ora di ricreazione. Suscita quasi sospetti perché tra maschi e femmine la sua attenzione è rivolta solo alle piccole femmine, imponendosi quasi ai direttori e alle maestre per riuscire ad avere uno spazio per brevi colloqui con le allieve, dai quali sceglie quelle che a suo parere possono essere meritevoli di frequentare la sua scuola. A una di queste, in uno dei suoi stancanti giri di reclutamento, farà una domanda precisa: «Credi che sia possibile, per una bambina, volare?»
Parallelamente, per la cronaca, in questa stessa nazione un'altra coppia svolge un lavoro decisamente più elevato in grado: Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena conducono il Paese, ne sono i genitori adottivi un po’ autoritari, diciamo sicuramente che ne sono i padroni. La bimba, alla domanda di Bela, risponde timidamente «sì.» con un cenno del capo e sua madre. Come tutte le madri, non vede l’ora che la sua pargola sfoghi la propria esuberante energia in una qualsivoglia attività sportiva. Quel piccolo paesino in quegli anni non offre molto altro per la gioventù. Bela Karolyi è una figura di allenatore estroso, visionario, sanguigno, bonario, ma nello stesso tempo, col tempo, diventerà estremamente rigoroso con le sue bambine. Sembra quasi che Bela si accorga come in un work in progress del materiale umano che ha sottomano.

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Come spesso succede nello sport, è l’allenatore stesso che cresce insieme agli atleti che lui allena. Le migliori, le prescelte, non possono sgarrare nel loro stile di vita. Dieta ferrea, orari perfettamente stabiliti, ripetizioni di esercizi noiosamente protratti fino all’esaurimento psico-fisico. Bela, però, è anche probabilmente lui stesso un bimbo dentro, e s’intende alla perfezione con le sue piccole allieve. La moglie Marta in tutto ciò rappresenta il raziocinio sportivo, la saggezza femminile, la riconduzione alla realtà. Sorge spontaneo chiedersi se quelle bambine sono felici di fare quello che fanno. Se lo chiede in particolare anche il padre di una di loro, quella che fa più esercizi rispetto a ciò che gli chiede l’allenatore, quella che si cruccia tremendamente fino alle lacrime quando sbaglia qualcosa, quella che si ferma in palestra la sera oltre l'orario, quella che crede nella possibilità di volare. Credo sia giunto ormai il momento di fare il suo nome: si chiama Nadia Comaneci, e lei stessa darà più volte risposta a quella domanda in seguito, nel corso della sua fantastica storia di vita. Nadia dirà da adulta, a proposito della rigida disciplina di quei tempi: «È un contratto che si stipula con se stessi, non una sottomissione a un allenatore. Io, in realtà, consideravo ubbidienti le altre ragazze, quelle che non erano ginnaste. Loro diventavano come la madre, come tutte le altre. Noi no.» Una risposta chiara e illuminante.

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Nata il 12 novembre 1961, non ha ancora compiuto nove anni quando Bela la fa esordire nel 1970 ai campionati nazionali rumeni, con un esercizio alla trave durante il quale lei perde l’equilibrio ed è costretta a scendere per ben due volte dall’attrezzo.

Quel punteggio di 7,25 in contrasto con il 9,50 della vincitrice fu come un pugno nello stomaco per quello sgorbietto con le treccine che dopo qualche anno conquisterà il pianeta intero, e poi anche l’universo. Sarà così. In quegli anni, un paese relativamente poco importante come la Romania, doveva convivere con la stragrande potenza della madre putativa Unione Sovietica: in tutti i campi della vita sociale ed economica la dipendenza era quasi totale. I Rumeni però sono una popolazione di origine latina e in ogni occasione si sentirono in dovere di rimarcare la loro indole naturale, notoriamente più calda e passionale rispetto alla freddezza quasi glaciale del carattere degli uomini e delle donne dell’Est Europa. Nello sport, il derby sovranazionale era sempre con l’Unione Sovietica. Come quella volta in Francia, Nadia aveva dodici anni. Pensando di essere invitati a una dimostrazione di ginnastica internazionale, all’arrivo a Parigi, Bela si accorse che in realtà l’invito per le bambine rumene era per una manifestazione secondaria, dedicata a bambine dilettanti. Bela non discusse nemmeno, lui allenava campionesse, erano arrivati a Parigi e si dovevano esibire nella manifestazione principale. Dopo la celebrata esibizione della grande ginnasta russa Ludmilla Tourischeva, un’atleta tedesca si stava preparando all’esercizio al cavallo. Un uomo e due bambine fecero irruzione nel Palazzo dello Sport, l’uomo venne fermato sotto gli spalti, le due bimbe scapparono. Una delle due, Nadia, spostò quella che si stava preparando e compì l’esercizio nello stupore di addetti ai lavori e pubblico. Con una vera e propria irruzione ai limiti dell’arresto, ecco la prima esibizione internazionale di Nadia. Un esercizio che solo un uomo può fare. Tra le proteste dei russi, un’ovazione generale dagli spalti farà dimenticare l’esibizione della ginnasta sovietica. Si comincerà a parlare di Nadia Comaneci e di quelle bambine rumene, nel mondo.

Alle Olimpiadi di Montreal del 1976 Nadia aveva quattordici anni e mezzo e si può già dire che non era una sconosciuta. Aveva già vinto quattro medaglie d’oro e una di bronzo agli Europei nel 1975, più svariate medaglie in manifestazioni internazionali, con massimi punteggi. Prima di arrivare lì l’allenatore aveva dovuto combattere per anni per affermare le sue ragazzine di Onesti, città periferica, nei confronti della scuola di Bucarest, la capitale, una fucina di giovani campionesse più istituzionali, più “giuste” a parere del governo per affrontare il palcoscenico internazionale. Bela Karolyi non era mai stato simpatico al regime, con i suoi metodi rivoluzionari e le sue prese di posizione testarde per difendere il suo lavoro, contro tutto e tutti. Sullo sfondo sempre la rivalità con le ragazze russe. Quel mese di luglio 1976 il mondo intero però non conosceva ancora quella minuta adolescente con la codina di cavallo: per arrivare lì si era sottoposta a un percorso quotidiano che per lei e le sue compagne qualcuno avrebbe potuto dire che non era vita, giorni dopo giorni scanditi da un rigore dietetico e sportivo che per delle giovinette poteva far pensare, a un comune sentire, che tutto ciò non era giusto, un trattamento disumano. Loro però, le ragazze, si sentivano diverse dalle altre, in senso positivo, come delle prescelte, predestinate alla gloria sempiterna. Erano tempi in cui si cominciava a parlare diffusamente di “doping di stato” ma pare che la ginnastica, a detta anche della stessa Nadia, sia stata risparmiata da questa malaugurata pratica. In fondo, per volare agili come uccellini, non serve il testosterone.

Teodora Ungurean Bela Karolyi Nadia Comaneci

Teodora Ungurean, Bela Karolyi, Nadia Comaneci

Dicevamo quindi di quel luglio 1976, Olimpiadi di Montreal. I tecnici del cronometraggio e dei tabelloni con i punteggi, progettarono quelli della ginnastica col massimo di 9,99. Nessun atleta nella storia aveva mai fatto registrare di più alle Olimpiadi. Fece stupore vedere quell’1,0 sul tabellone, tutti si chiesero come mai un punteggio così basso: ma quel numero significava dieci, un dieci perfetto. La perfezione assoluta fece capolino per la prima volta alle Olimpiadi, una rumena sul gradino più alto del podio e due russe su quelli più bassi. A Montreal, furono ben sette i dieci perfetti per la piccola rumena. La più giovane atleta medagliata nella storia olimpica, tre medaglie d’oro e una di bronzo a quattordici anni e mezzo.
E finalmente Nadia conquistò una fama planetaria, quella bambina che sorrideva a fatica aveva conquistato tutti. In tutto il mondo amorevoli mamme cominciarono ad acquistare per le loro figliolette tutine e scarpette da ginnastica, negli Stati Uniti ci fu il boom di iscrizioni alle palestre, le adolescenti avevano i poster di Nadia Comaneci nella stanza. Le ragazzine volevano essere magre e agili come lei, qualcuna cominciò ad apprezzare il valore del sacrificio per giungere a un risultato. Niente male per una ragazzina di Onesti, città periferica della Romania.

Il successo però spesso provoca delle conseguenze non sempre positive. Quella ragazzina, come tutte le altre, crebbe e affrontò l’“età dello sviluppo”. Nel suo paese diventò “tesoro nazionale” e nei suoi occhi nacque lo sguardo freddo di chi svolge un’attività da primadonna e non può sbagliare nulla. Nadia non voleva più nei suoi esercizi quelle piccole vezzosità da bambina, si sentiva cresciuta, al contrario del suo allenatore che la credeva ancora una piccola campionessa. Per una ginnasta che ha già raggiunto la gloria olimpica e forse più, cosa può rappresentare sentire il proprio corpo che si modifica, che non risponde più ai comandi della testa come prima? Esercizi quasi meccanici, riprodotti però in un motore che è cambiato, una cilindrata diversa. Uno sportivo sa cosa vuol dire praticare come sempre la propria disciplina in un corpo che per qualche motivo si è trasformato. La sensazione positiva del corpo migliorato o quella negativa di pesantezza, quando è peggiorato.

Nadia Comaneci 1980

Nadia Comaneci, Mosca 1980

Nadia diventò una donna, avrà diciotto anni alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Nel mezzo, quattro anni di turbinio fisico e mentale: il suo allenatore estromesso dalla federazione rumena e poi riammesso solo in quell’occasione, un fermo dovuto a un avvelenamento dovuto a un taglio causato dalla fibbia del fermapolsi, il regime rumeno che la sballottava per celebrazioni qua e là, le particolari attenzioni (per usare un eufemismo) che gli rivolgeva il figlio di Ceausescu. Furono le Olimpiadi del primo boicottaggio occidentale, infatti non parteciparono Stati Uniti e altre nazioni. Nadia nel covo dei nemici sportivi da sempre, un fisico da donna, non più la codina di cavallo col laccetto dai colori rumeni, ma capelli neri a caschetto. Lo sguardo però era sempre quello, serio e concentrato, determinato più che mai. Anche lì un bottino consistente, due ori e due argenti per lei. Qui possiamo affermare che finì la giovinezza sportiva, e non solo, di Nadia, infatti nel 1981 il suo allenatore fuggì negli Stati Uniti.

Nel 1989 lei stessa fuggì dalla Romania, in modo pericoloso e rocambolesco, passando per situazioni rischiose, poche settimane prima della rivoluzione rumena e della caduta di Ceausescu. Poi, il matrimonio col ginnasta americano Bart Connor, col quale esiste una fotografia del 1976 alle Olimpiadi in cui lui la baciava pudicamente sulla guancia. Una foto, un destino.
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Nadia Comaneci (foto wikiFeed)

Ora Nadia è una bella donna, un bel fisico; ha un figlio, è impegnata nel sociale, a capo di fondazioni, attiva nella sua palestra. Si sente ancora rumena, anche se la sua vita è dal 1989 negli Stati Uniti. Un’icona universale dello sport. Il 18 luglio 2006, alle 12.01, il video della sua perfetta esecuzione di Montreal è stato diffuso nello spazio dal Deep Space Communication Program. Gli ingegneri di quel progetto hanno dichiarato che quelle immagini rappresentano la bellezza assoluta e avrebbero percorso innumerevoli anni luce oltre il sistema solare, esattamente trent’anni dopo quelle Olimpiadi. Qualche riga più su si scriveva che la Comaneci avrebbe conquistato anche l’universo, ecco fatto.

Vi consiglio di vedere, nella marea di materiale web su Nadia Comaneci, il video YouTube “Tema de Nadia – Tributo a Nadia Comaneci”, pubblicato da “Boxing Passion”, commentato musicalmente dal bel “Tema di Nadia” dedicato a lei. Ora negli occhi di quella donna si nota una freddezza insolita, una strana determinazione; nel viso un sorriso che appare quasi ironico e sfidante, sicuramente affascinante. Come dire che i sacrifici e il rigore nello sport da giovanissimi, se fatti con passione, non creano necessariamente conseguenze negative sulla vita futura da atleta e da essere umano. Sembra quasi il caso di dire: donna d’altri tempi e d’altra tempra. Leggendo qualche intervista o il libro biografico “La piccola comunista che non sorrideva mai”, scritto da Lola Lafon, edito da Bompiani, vedendo qualche sua conversazione in filmati dei nostri anni, si può supporre che quello che Nadia non ha voluto dirci non l’ha detto, e può essere che non ce lo dirà mai. Forse quello che lei pensa veramente della sua giovinezza non è affar nostro. Noi dobbiamo solo esserle grati per averci regalato i suoi dieci perfetti, e per averci fatto vedere nei fatti che una bambina di una piccola città sperduta del mondo, se vuole, può riuscire a volare.

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