Il gioco

Quel senso di libertà

Il gioco come "serissima" modalità esistenziale

di Egidio Missarelli

bambini mascherati"Non conosco altra maniera che trattare i grandi compiti che non sia il giuoco: fra i segni della grandezza, questo è un presupposto essenziale."

Friedrich Nietzsche, Ecce Homo

 

Chi è che naturalmente gioca, per il quale l'attività ludica è una cosa "seria e onni-assorbente"? Lo sappiamo tutti: è il bambino, e a questo proposito provo a dar credito al concetto della Lila1 vedica, a Eraclito2, a Gesù Cristo3, a Schiller4 e a Nietzsche5 che su questo punto si espressero in maniera chiara e perentoria, occasione che certo non sono disposto a perdere per verificare la veridicità delle loro asserzioni.

bambino ch giocaOsservando i bambini giocare trovo in loro una gioia indescrivibile, un'attenzione invidiabile nei confronti di quello che di volta in volta si prefiggono di fare, un'osservazione acuta e precisa, un essere totali in quello che stanno facendo, un raccontarsi e un ascoltare senza pregiudizi e costruzioni pregresse, un manifestarsi genuino, un puro senso di libertà, un inventarsi il momento e viverlo intensamente, un amore verso ciò che stanno facendo che è raro riscontrarlo negli adulti. Non ci sono filtri nei bambini perché non hanno un passato di cui vergognarsi o di cui andar fieri: vivono il presente, vogliono scoprire il mondo e capirlo e quindi sperimentano e ricercano in continuazione; alcuni sono temerari, si fanno inoltre domande e le pongono, e un'altra loro peculiarità è che non si annoiano mai. Raccogliendo in una sintesi queste osservazioni che ho fatto in un parco giochi, mi viene da pensare che il gioco dei bambini può essere caratterizzato in questi termini: senso di libertà, sperimentazione creativa e ricerca continua.

krokodill locomotiva svizzera
Modellino "Coccodrillo", Ferrovia retica

Per quanto mi riguarda, da questo punto di vista, ritengo che ogni adulto possa evolvere solo giocando: evangelicamente, ma anche solo logicamente, sarebbe opportuno capire quanto sia importante diventare come un bambino. Intendiamoci, non bisogna restare bambini – il che sarebbe patologico –, ma coscientemente ed evangelicamente, vedicamente, eraclitamente e niceanamente diventare bambini, perché ciò significa, come ho rilevato sopra, diventare sempre più liberi, sperimentare e diventare sempre più creativi ed essere incessantemente dei ricercatori di verità. Personalmente, non chiedo di meglio che diventare sempre più libero, più creativo e più sapiente e quindi di diventare come i fanciulli che vivono i loro giochi con il medesimo spirito.

Un altro grande spirito dell'ottocento, Schiller, afferma esplicitamente che il gioco va posto in primo piano nell'esistenza umana: "E che cosa invero significa un semplice gioco, dal momento che sappiamo che tra tutti gli stati dell'uomo per l'appunto il gioco ed unicamente il gioco è ciò che lo fa completo e nello stesso tempo sviluppa la sua duplice natura? [...] Ed invero, per riassumere finalmente, l'uomo gioca unicamente quando è uomo nel senso pieno della parola ed è pienamente uomo unicamente quando gioca". Secondo Schiller, quindi, l'epifania del bello, l'artisticità, intesa come gioco, ha il privilegio di mantenere in equilibrio le due spinte primarie che rischiano di portare l'uomo verso l'unilateralità dell'una o dell'altra: la vita, che spinge verso il mutamento continuo (caos), e la forma, che invece lo spinge verso la fissità, l'immutabilità dell'ordine e della concettualità. Quindi il gioco come arte, bilanciando le due spinte – che potremmo anche considerare come il vincolo della necessità naturale o dell'istinto e il vincolo della logica o della razionalità –, è una vera e propria educazione alla libertà e una pienezza di verità e gioia perché permette all'uomo di viversi allo stato puro come spirito creatore.

Una ulteriore conferma di quanto il gioco sia un'attività umana di estremo valore e tutta da riscoprire ce la dà il linguaggio: tutte le lingue c'inducono ad affermare che il termine "serio" nasce dopo quelli legati alla sfera semantica ludica, quasi si trattasse di definire in seconda istanza cosa non è gioco, pertanto come negazione del valore invece positivo rappresentato della parola "gioco".
Come non ricordare in ultimo il fanciullo-dio per antonomasia, Dioniso e i suoi giocattoli? Proprio il dionisiaco ci porta a quella che è stata definita a ragione la pedagogia del transhumanum, vale a dire che il gioco – nell'accezione dionisiaca che comprende anche quella apollinea6 – apre uno spazio alla libera inventiva e alla produttività spirituale-artistica che porta l'uomo a esplorare nuove realtà oltre il conosciuto, oltre la rigidità di schemi veritativi resi ormai obsoleti da una paralisi dell'arte del pensare.

1 Il giuoco divino attraverso il quale, secondo la filosofia del Vedanta, viene creato il mondo.
2 "L'eternità è un bambino che gioca a dadi, è il regno sovrano di un bambino" (DK 52).
3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt. 18,3).
4 Troviamo espresse le sue idee sul gioco inteso come arte nel suo libro Lettere sull'educazione estetica dell'uomo.
5 "Le tre metamorfosi" in Così parlò Zarathustra (cammello, leone, fanciullo).
6 G. Colli, La sapienza greca I

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